Questo scritto sapienziale poetico è posto sotto il patronato ideale di Salomone, il re
simbolo della sapienza d’Israele (X secolo a.C.), ma in
realtà è stato composto alle soglie del cristianesimo, in greco, forse ad
Alessandria d’Egitto, nella seconda metà del I secolo a.C. Proprio
perché non scritta in ebraico, l’opera non è entrata nel Canone delle Scritture
sacre degli Ebrei e dei protestanti, mentre è stata accolta in quello cattolico
con altri sei libri, detti “deuterocanonici” (Tobia, Giuditta, primo e secondo
libro dei Maccabei, Baruc, Siracide).
Il libro della Sapienza rivela aspetti diversi: è un piccolo trattato teologico, è un’esortazione
alla fedeltà per gli Ebrei dispersi tra i pagani nel mondo, è un testo di
meditazione sulla Bibbia (in particolare sul libro dell’Esodo), è un’opera
“missionaria” indirizzata indirettamente ai pagani, perché scoprano la bellezza
del messaggio biblico. Il volume si svolge lungo tre temi fondamentali.
Il primo è la proclamazione della
dottrina dell’immortalità beata dei giusti (capitoli 1-5), una verità che
finora era stata dichiarata solo sporadicamente e non sempre in maniera così
netta e nitida. Questa immortalità non è, però, quella greca: non è tanto una
qualità dell’anima, ma è comunione piena del giusto con la stessa vita divina.
Il secondo tema è quello della sapienza: essa è dono divino che pervade i
fedeli e li guida nella loro esistenza, ma penetra anche il cosmo in tutte le
sue meraviglie. Proprio perché dono, dev’essere implorata da Dio (capitoli
6-9).
Una terza sezione
dell’opera (capitoli 10-19) rivela
l’ultimo tema. Attraverso una lunga e complessa meditazione in sette quadri
sulle vicende dell’esodo di Israele dall’Egitto, si illustrano i destini
antitetici dei giusti e degli empi. La salvezza finale e il giudizio sono
tratteggiati sulla base della storia della lotta tra Ebrei ed Egiziani. La
sequenza di questi sette quadri – che è, tra l’altro, interrotta nei capitoli
13-15 da un trattato sull’idolatria e le sue misure – sfocia nel canto finale
dei salvati (19,5-21), un inno che sigilla un testo pieno di luce e di
speranza.
Nota Finale
Piccolo gioiello della letteratura giudaica fiorita ad Alessandria d’Egitto
durante la diaspora degli Ebrei, il libro della Sapienza è stato redatto in
greco nel I sec. a.C., alle soglie del
Cristianesimo, e posto sotto la paternità fittizia del re sapiente per
eccellenza, Salomone. L’opera
si sviluppa attorno a «tre temi»: il dono dell’immortalità beata offerta da Dio
ai giusti, il dono della sapienza divina effuso nell’uomo e nel mondo, l’esodo
dall’Egitto visto come manifestazione della sapienza di Dio nella storia
d’Israele e come segno di liberazione totale dell’essere.
Nell’interno
dell’opera
si intravedono riferimenti alla cultura greca e si nota il tentativo di rendere
comprensibili anche al mondo pagano greco i valori del messaggio biblico.
Nonostante si avvertono echi delle difficoltà sperimentate dagli Ebrei al loro
interno e nel rapporto con l’ambiente esterno, il libro è pervaso da un grande
ottimismo e da uno spirito “ecumenico”. L’afflato spirituale (soffio, alito),
il senso vivo della speranza di una vita oltre la morte, la descrizione della
sapienza come emanazione di Dio, la meditazione sulle vicende dell’esodo come
segni di una salvezza più grande conferiscono un enorme valore a questo testo,
che ha esercitato un influsso notevole anche su due autori del Nuovo Testamento:
Giovanni e Paolo.
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