domenica 24 giugno 2018

SAPIENZA



Questo scritto sapienziale poetico è posto sotto il patronato ideale di Salomone, il re simbolo della sapienza d’Israele (X secolo a.C.), ma in realtà è stato composto alle soglie del cristianesimo, in greco, forse ad Alessandria d’Egitto, nella seconda metà del I secolo a.C. Proprio perché non scritta in ebraico, l’opera non è entrata nel Canone delle Scritture sacre degli Ebrei e dei protestanti, mentre è stata accolta in quello cattolico con altri sei libri, detti “deuterocanonici” (Tobia, Giuditta, primo e secondo libro dei Maccabei, Baruc, Siracide).

Il libro della Sapienza rivela aspetti diversi: è un piccolo trattato teologico, è un’esortazione alla fedeltà per gli Ebrei dispersi tra i pagani nel mondo, è un testo di meditazione sulla Bibbia (in particolare sul libro dell’Esodo), è un’opera “missionaria” indirizzata indirettamente ai pagani, perché scoprano la bellezza del messaggio biblico. Il volume si svolge lungo tre temi fondamentali.

Il primo è la proclamazione della dottrina dell’immortalità beata dei giusti (capitoli 1-5), una verità che finora era stata dichiarata solo sporadicamente e non sempre in maniera così netta e nitida. Questa immortalità non è, però, quella greca: non è tanto una qualità dell’anima, ma è comunione piena del giusto con la stessa vita divina. 

Il secondo tema è quello della sapienza: essa è dono divino che pervade i fedeli e li guida nella loro esistenza, ma penetra anche il cosmo in tutte le sue meraviglie. Proprio perché dono, dev’essere implorata da Dio (capitoli 6-9).

Una terza sezione dell’opera (capitoli 10-19) rivela l’ultimo tema. Attraverso una lunga e complessa meditazione in sette quadri sulle vicende dell’esodo di Israele dall’Egitto, si illustrano i destini antitetici dei giusti e degli empi. La salvezza finale e il giudizio sono tratteggiati sulla base della storia della lotta tra Ebrei ed Egiziani. La sequenza di questi sette quadri – che è, tra l’altro, interrotta nei capitoli 13-15 da un trattato sull’idolatria e le sue misure – sfocia nel canto finale dei salvati (19,5-21), un inno che sigilla un testo pieno di luce e di speranza.
 
Nota Finale

Piccolo gioiello della letteratura giudaica fiorita ad Alessandria d’Egitto durante la diaspora degli Ebrei, il libro della Sapienza è stato redatto in greco nel I sec. a.C., alle soglie del Cristianesimo, e posto sotto la paternità fittizia del re sapiente per eccellenza, Salomone. L’opera si sviluppa attorno a «tre temi»: il dono dell’immortalità beata offerta da Dio ai giusti, il dono della sapienza divina effuso nell’uomo e nel mondo, l’esodo dall’Egitto visto come manifestazione della sapienza di Dio nella storia d’Israele e come segno di liberazione totale dell’essere.

Nell’interno dell’opera si intravedono riferimenti alla cultura greca e si nota il tentativo di rendere comprensibili anche al mondo pagano greco i valori del messaggio biblico. Nonostante si avvertono echi delle difficoltà sperimentate dagli Ebrei al loro interno e nel rapporto con l’ambiente esterno, il libro è pervaso da un grande ottimismo e da uno spirito “ecumenico”. L’afflato spirituale (soffio, alito), il senso vivo della speranza di una vita oltre la morte, la descrizione della sapienza come emanazione di Dio, la meditazione sulle vicende dell’esodo come segni di una salvezza più grande conferiscono un enorme valore a questo testo, che ha esercitato un influsso notevole anche su due autori del Nuovo Testamento: Giovanni e Paolo.



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