Il “proverbio”, in
ebraico «mashal», costituisce un fenomeno comune a tutte le culture e alle
tradizioni popolari: sono schegge di riflessioni e osservazioni legate a
formule lapidarie, spesso rinate, desunte dall’esperienza concreta quotidiana e
trasformate in lezione per tutti. Nel mondo biblico il proverbio è costruito
ricorrendo spesso a una tecnica letteraria detta “parallelismo”: lo stesso tema
è ripreso due o più volte da angolature differenti, non di rado antitetiche.
Il libro è appunto una raccolta di proverbi, ordinati secondo varie collezioni,
sorte in tempi diversi. Non mancano, però, pagine che contengono inni o
riflessioni generali più vaste. Ecco la serie delle collezioni proverbiali
presenti in questo libro. Nei capitoli 1-9, che sono i più recenti (pur
contenendo anche materiali antichi), si offrono piccoli poemi o quadri di vita.
Nei capitoli 1 e 8 è la Sapienza divina che entra in scena presentando la sua
lezione di vita e indicando il senso della realtà; nei capitoli 5 e 7 si dipinge
l’adescamento che una donna «straniera» compie nei confronti di un giovane
ingenuo.
I capitoli [10,1] – [22,16]
comprendono, invece, una vivace raccolta di proverbi collegati all’epoca di
Salomone (X secolo a.C.): sfila davanti al lettore
tutta l’esistenza con le sue miserie e i suoi splendori, con le professioni e
la vita familiare, con il bene e con il male che segna la natura umana. Nei
capitoli [22,17] – [24,34] si ha una sezione di proverbi curiosamente legati a
un testo della sapienza egiziana detta di “Amen-em-ope” (X-VIII secolo a.C.). Passiamo poi ai capitoli 25-29, che vengono
presentati come «proverbi di Salomone, che hanno trascritto gli uomini di
Ezechia, re di Giudea» (VIII-VII secolo a.C.). Si tratta di una piccola
collezione di detti pittoreschi, spesso legati alla natura, ma anche attenti
alla vita sociale.
Il libro è chiuso da quattro mini-raccolte: due derivate
da personaggi estranei a Israele, forse dell’ambito delle tribù arabe [30,1-14
e 31,1-9]; una costituita da proverbi basati sul giuoco dei numeri («tre cose
sono troppo ardue per me, anzi quattro…»; e, infine, un canto che contiene il
ritratto della donna ideale [31,10-31]. Il libro dei Proverbi offre la visione
tradizionale della sapienza d’Israele di stampo ottimistico: la giustizia è
premiata già in questa vita, mentre la malvagità è punita. È quella che viene
chiamata «dottrina della retribuzione».
Nota Finale
Il libro dei Proverbi è un compendio di sentenze e di regole morali e religiose impartite dai
saggi alla gioventù ebraica in epoche diverse della storia biblica. Suo
concetto informatore è la sapienza, che è al tempo stesso individuale e
universale e non consiste nell’erudizione e neppure nell’abilità dell’individuo,
ma nel riconoscere il bene e praticarlo. La sapienza è, perciò, un dono divino,
è il saper riconoscere il bene e il male e il saper vivere coerentemente
l’esistenza quotidiana.
Il libro rappresenta una raccolta di varie collezioni di
proverbi di diversa provenienza e datazione (dal IX al III secolo a.C.). Alcune parti contengono in forma estesa ammonizioni ed
esortazioni, altre offrono massime concise, altre ancora dipendono dalla
cultura sapienziale dell’Antico Oriente, soprattutto egiziano, e tutte si
rifanno alla lezione dell’esperienza. L’uso frequente delle massime contenute
nel libro da parte degli scrittori del Nuovo Testamento dimostra come i primi
Cristiani tenessero in grande considerazione i pensieri dei saggi d’Israele.
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