Dopo le pagine aspre e provocatorie di Qohelet, ecco apparire un poemetto colmo di luce, di
colori, di aromi, di passione, posto sullo sfondo di una primavera appena
sbocciata. Sono soltanto 1250 parole ebraiche, intitolate con un’espressione
superlativa, “Shir Hashshirim”,
«Cantico dei Cantici», cioè il “Cantico” per eccellenza, il cantico sublime e
perfetto.
Al centro della scena sono due innamorati, lei e lui, che intessono un dialogo, curiosamente
diretto dalla donna, che occupa una posizione di primato, nonostante la società
maschilista dell’antico Vicino Oriente. Gli otto capitoli sono costellati di
simboli affascinanti e si svolgono secondo una serie libera di quadri, ma con
una profonda unitarietà di sentimenti e di temi. L’amore, nella sua donazione e
nella reciproca appartenenza dei due innamorati (2,16; 6,3), è il cuore del
poema, un amore «insaziabile come la morte» (8,6-7), capace di permanere al di
là di ogni ostacolo, che tenta di contrastarlo, e della stessa separazione che
incombe in due stupende scene notturne (3,1-4 e 5,2-16; 6,1-3).
L’amore trasfigura anche l’eros e la corporeità che hanno una vigorosa presenza in alcune descrizioni di
forte passione, ma anche di grande purezza interiore (capitoli 4,5,7). La
tradizione giudaica e cristiana ha interpretato questa storia d’amore in chiave
esclusivamente spirituale, spogliandola di quella concretezza che pure
riverbera da ogni versetto. Il cantico è divenuto, così, la celebrazione
dell’amore tra JHWH e Israele, tra Cristo e la Chiesa e anche tra Dio e l’anima
o tra Cristo e Maria, come si legge nei commenti rabbinici e patristici.
In realtà, in quest’opera poetica in cui Dio
parla il linguaggio degli innamorati, il punto di partenza è terrestre e umano,
è l’amore di una coppia giovane e felice che incarna l’eterno sbocciare dell’amore
tra ogni Adamo e ogni Eva, secondo il racconto del capitolo 2 della Genesi. Ma
questo amore puro e concreto è la rappresentazione di ogni amore, rimanda di
sua natura all’amore supremo tra Dio e la sua creatura. Perciò, come scriveva
nel secolo III un grande maestro cristiano, Origene,
«beato chi comprende e canta i cantici
della scrittura; ma ben più beato chi comprende e canta il Cantico dei Cantici!».
Nota Finale
Non mancano probabilmente anche allusioni a temi e simboli presenti nella poesia d’amore dell’Antico Oriente. Per lungo tempo questo splendido poema è stato attribuito a Salomone, come dice lo stesso titolo aggiunto al poemetto in epoca posteriore, ma gli studiosi moderni ritengono che esso sia stato composto attorno al IV secolo a.C.
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