sabato 16 giugno 2018

CANTICO DEI CANTICI


Dopo le pagine aspre e provocatorie di Qohelet, ecco apparire un poemetto colmo di luce, di colori, di aromi, di passione, posto sullo sfondo di una primavera appena sbocciata. Sono soltanto 1250 parole ebraiche, intitolate con un’espressione superlativa, “Shir Hashshirim”, «Cantico dei Cantici», cioè il “Cantico” per eccellenza, il cantico sublime e perfetto.

Al centro della scena sono due innamorati, lei e lui, che intessono un dialogo, curiosamente diretto dalla donna, che occupa una posizione di primato, nonostante la società maschilista dell’antico Vicino Oriente. Gli otto capitoli sono costellati di simboli affascinanti e si svolgono secondo una serie libera di quadri, ma con una profonda unitarietà di sentimenti e di temi. L’amore, nella sua donazione e nella reciproca appartenenza dei due innamorati (2,16; 6,3), è il cuore del poema, un amore «insaziabile come la morte» (8,6-7), capace di permanere al di là di ogni ostacolo, che tenta di contrastarlo, e della stessa separazione che incombe in due stupende scene notturne (3,1-4 e 5,2-16; 6,1-3).

L’amore trasfigura anche l’eros e la corporeità che hanno una vigorosa presenza in alcune descrizioni di forte passione, ma anche di grande purezza interiore (capitoli 4,5,7). La tradizione giudaica e cristiana ha interpretato questa storia d’amore in chiave esclusivamente spirituale, spogliandola di quella concretezza che pure riverbera da ogni versetto. Il cantico è divenuto, così, la celebrazione dell’amore tra JHWH e Israele, tra Cristo e la Chiesa e anche tra Dio e l’anima o tra Cristo e Maria, come si legge nei commenti rabbinici e patristici.

In realtà, in quest’opera poetica in cui Dio parla il linguaggio degli innamorati, il punto di partenza è terrestre e umano, è l’amore di una coppia giovane e felice che incarna l’eterno sbocciare dell’amore tra ogni Adamo e ogni Eva, secondo il racconto del capitolo 2 della Genesi. Ma questo amore puro e concreto è la rappresentazione di ogni amore, rimanda di sua natura all’amore supremo tra Dio e la sua creatura. Perciò, come scriveva nel secolo III un grande maestro cristiano, Origene, «beato chi comprende e canta i cantici della scrittura; ma ben più beato chi comprende e canta il Cantico dei Cantici!».

Nota Finale

Il Cantico dei Cantici è innanzitutto una raccolta di liriche amorose. Non contiene accenni espliciti che possono ricondurlo a un’applicazione spirituale e la parola “Signore” vi compare una sola volta. La sua inclusione nel canone sia ebraico sia cristiano è dovuta al fatto che questo poema è stato interpretato dalla tradizione giudaica e cristiana come un’allegoria dell’amore di Dio per Israele o dell’amore di Cristo per la Chiesa. È noto, del resto, che già Osea nella sua profezia tratteggiava il rapporto tra Dio e Israele secondo uno schema nuziale. Le liriche del Cantico sono collegate dal filo poetico dei simboli e sembrano quasi recitate da vari personaggi, come in una rappresentazione il cui fulcro è il dialogo fra una fanciulla ebrea e il suo amato. A esso assistono come spettatori i personaggi del coro e anche la natura, con tutti i suoi profumi e i suoi colori, viene coinvolta in questo inno alla gioia e all’amore. 

Non mancano probabilmente anche allusioni a temi e simboli presenti nella poesia d’amore dell’Antico Oriente. Per lungo tempo questo splendido poema è stato attribuito a Salomone, come dice lo stesso titolo aggiunto al poemetto in epoca posteriore, ma gli studiosi moderni ritengono che esso sia stato composto attorno al IV secolo a.C.


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