Il libro di Giuditta è la testimonianza di un giudaismo tardo, perseguitato ma orgoglioso
della sua libertà e della sua capacità di vittoria sotto la guida di Dio, che
sceglie, come spesso accadeva nella storia antica d’Israele, il debole per
confondere il potente e vincerlo. L’eroina è, infatti, una donna vedova, il cui
nome è emblematico perché significa “la giudea” per eccellenza, vera “madre
della patria” come Debora, Giaele ed Ester. La sua città ha anch’essa un nome
simbolico, Betulia, allusivo forse a Betel, “casa di Dio”, “casa del Signore
Dio”.
Il testo di Giuditta è giunto a noi in greco, pur avendo forse una matrice ebraica o aramaica:
per questa ragione non è entrato nel Canone dei libri biblici ispirati,
riconosciuti come tali dagli Ebrei e dai protestanti, che hanno privilegiato
solo i libri scritti in ebraico. I cattolici usano definire il libro come
“deutero-canonico”, insieme agli altri libri greci dell’Antico Testamento (ad
esempio, Tobia, che abbiamo già commentato). Lo sfondo storico è fittizio e
rimanda a Nabucodonosor (VI secolo a.C.), erroneamente considerato
come re assiro (era, invece, babilonese) e residente a Ninive, la capitale
assira distrutta da suo padre Nabopolassar.
Lo scopo di questo racconto esemplare, analogo a quello di Ester, non è
infatti storico, ma è l’esaltazione della protezione che il Signore riserva al
suo popolo nel momento della tragedia, attraverso l’opera di una persona debole
e ultima, che in questo modo rivela l’azione divina. È probabile che si
rifletta l’epoca dei Maccabei, nel II secolo a.C., allorché su
Israele si stendeva la dura oppressione dei siro-ellenisti. È in questa luce
che deve essere interpretato anche il gesto violento di Giuditta.
La narrazione, dopo una lunga preparazione (capitoli
1-7), ha al centro una
grande scena dominata dal festino del generale nemico Oloferne e dall’audacia
di Giuditta, che spicca il capo al generale con un colpo di scimitarra. In
finale si leva l’inno nazionale che celebra la vittoria di Giuditta: la
tradizione cristiana l’ha liberamente reinterpretata come una figura mariana.
Nota Finale
Il libro di Giuditta, incentrato come quelli di Tobia ed
Ester su un personaggio principale, racconta di una grande vittoria del popolo
eletto sui suoi nemici grazie all’intervento di una donna, che con la fede e
l’astuzia riesce a sconfiggere Oloferne, generale di Nabucodonosor. Il racconto
è volutamente svincolato da ogni plausibilità storico-geografica (Nabucodonosor
è presentato come un sovrano assiro, mentre in realtà era re di Babilonia, e la
città di Betulia, centro dell’azione, risulta sconosciuta) e propone soprattutto
un messaggio teologico: il debole sorretto dal Signore può piegare il potente
superbo, mentre nulla possono i nemici di Israele contro il vero Dio. L’eroina
Giuditta è diventata, nella tradizione cristiana, simbolo di Maria Vergine,
vincitrice del male attraverso suo figlio Gesù Cristo. Il libro, di autore
sconosciuto e il cui originale ebraico risalente al II sec. a.C. è andato perduto, è giunto a noi in versione greca.
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