domenica 25 febbraio 2018

GIUDICI



Lasciate alle spalle le pagine gloriose della conquista della terra di Canaan e quelle più minuziose della ripartizione del territorio tra le dodici tribù – eventi che erano descritti nel precedente libro di Giosuè –, ci incontriamo ora con i primi tempi dell’esistenza di Israele nella terra promessa. Tempi non facili, perché la conquista non era stata definitiva e rimanevano ampie zone occupate dalle popolazioni indigene, soprattutto i Cananei e i Filistei, che attendevano il momento della rivincita. Il libro dei Giudici vuole appunto rappresentare con esempi significativi quel periodo storico che va dal XIII alla metà circa dell’XI secolo a.C.

E lo fa attraverso una serie di personaggi chiamati “giudici”: in ebraico il termine di per sé rimanda all’idea del “governare”, di cui il “giudicare” è l’atto più alto. Si tratterebbe, perciò, di “governatori” tribali, distinti secondo due modelli diversi. Da un lato ci sono quelli che sono stati detti “giudici maggiori”, come Debora, Gedeone, Iefte, Sansone: sono figure carismatiche, straordinarie, misteriosamente chiamate da Dio per una missione di salvezza per alcune tribù d’Israele in gravi difficoltà. Una volta compiuta la loro opera di liberazione, essi rientrano nella vita ordinaria.

D’altro canto, invece, si incontrano figure di giudici cosiddetti “minori”, dai nomi meno celebri e simili a governatori di clan. Senza particolari atti grandiosi, essi gestiscono il potere delle loro tribù. Il libro, che ha al suo interno narrazioni stupende, documenti arcaici riguardanti anche tensioni e lotte intestine tra le varie tribù israelitiche e memorie locali, è sorto in quella specie di “scuola” religiosa che ha dato origine al Deuteronomio.

È per questo che si usa parlare di “Deuteronomista” per indicare l’autore del libro dei Giudici come di quello di Giosuè e dei successivi scritti storici. Come si può vedere leggendo il prologo del capitolo 2, egli narra la storia d’Israele alla luce della sua fede. Al peccato d’idolatria perpetrato da Israele, attratto dai culti dei Cananei, subentra il giudizio divino che si manifesta nell’oppressione. Al pentimento d’Israele succede la liberazione offerta da Dio attraverso l’opera dei Giudici.

Nota Finale

Dopo la Morte di Giosuè, il Signore suscita dal suo popolo dodici “giudici”, il cui compito non è soltanto quello di comporre dispute e vertenze giudiziarie: i giudici, infatti, sono soprattutto condottieri, in quanto gli Israeliti sono continuamente sottoposti agli attacchi dei popoli vicini. Si possono in pratica distinguere due tipi di giudici: ci sono giudici di normale amministrazione, che esplicano la funzione di governatori (come Otniel, Eud, Samgar) e giudici eletti in momenti critici con poteri su più tribù (come Debora, Gedeone, Iefte).

Il libro, opera di un autore sconosciuto, narra imprese grandiose (come quelle di Debora, di Gedeone e di Sansone) senza preoccupazioni di carattere storico, ma con l’unico intento di inculcare nel popolo un insegnamento di fondamentale importanza morale e teologica: la stretta concatenazione di peccato, castigo, ravvedimento e liberazione dimostra come l’obbedienza ai comandamenti divini significhi "salvezza" e "prosperità" per il popolo, mentre la disobbedienza sfocia nel "disastro". Nell’opera confluiscono anche tradizioni tribali particolari.        






Nessun commento:

Posta un commento