Lasciate alle spalle le pagine gloriose della conquista della terra di Canaan e quelle più
minuziose della ripartizione del territorio tra le dodici tribù – eventi che
erano descritti nel precedente libro di Giosuè –, ci incontriamo ora con i
primi tempi dell’esistenza di Israele nella terra promessa. Tempi non facili,
perché la conquista non era stata definitiva e rimanevano ampie zone occupate
dalle popolazioni indigene, soprattutto i Cananei e i Filistei, che attendevano
il momento della rivincita. Il libro dei Giudici vuole appunto rappresentare
con esempi significativi quel periodo storico che va dal XIII alla metà circa dell’XI secolo a.C.
E lo fa attraverso una serie di personaggi chiamati “giudici”: in ebraico il
termine di per sé rimanda all’idea del “governare”, di cui il “giudicare” è
l’atto più alto. Si tratterebbe, perciò, di “governatori” tribali, distinti
secondo due modelli diversi. Da un lato ci sono quelli che sono stati detti
“giudici maggiori”, come Debora, Gedeone, Iefte, Sansone: sono figure
carismatiche, straordinarie, misteriosamente chiamate da Dio per una missione
di salvezza per alcune tribù d’Israele in gravi difficoltà. Una volta compiuta
la loro opera di liberazione, essi rientrano nella vita ordinaria.
D’altro canto, invece, si incontrano
figure di giudici cosiddetti “minori”, dai nomi meno celebri e simili a
governatori di clan. Senza particolari atti grandiosi, essi gestiscono il
potere delle loro tribù. Il libro, che ha al suo interno narrazioni stupende,
documenti arcaici riguardanti anche tensioni e lotte intestine tra le varie
tribù israelitiche e memorie locali, è sorto in quella specie di “scuola”
religiosa che ha dato origine al Deuteronomio.
È per questo che si usa parlare di “Deuteronomista” per indicare l’autore del libro dei Giudici come di
quello di Giosuè e dei successivi scritti storici. Come si può vedere leggendo
il prologo del capitolo 2, egli narra la storia d’Israele alla luce della sua
fede. Al peccato d’idolatria perpetrato da Israele, attratto dai culti dei
Cananei, subentra il giudizio divino che si manifesta nell’oppressione. Al
pentimento d’Israele succede la liberazione offerta da Dio attraverso l’opera
dei Giudici.
Nota Finale
Dopo la Morte di Giosuè, il Signore suscita dal suo popolo dodici “giudici”, il cui compito non è
soltanto quello di comporre dispute e vertenze giudiziarie: i giudici, infatti,
sono soprattutto condottieri, in quanto gli Israeliti sono continuamente
sottoposti agli attacchi dei popoli vicini. Si possono in pratica distinguere
due tipi di giudici: ci sono giudici di normale amministrazione, che esplicano
la funzione di governatori (come Otniel, Eud, Samgar) e giudici eletti in
momenti critici con poteri su più tribù (come Debora, Gedeone, Iefte).
Il libro, opera di un
autore sconosciuto, narra imprese grandiose
(come quelle di Debora, di Gedeone e di Sansone) senza preoccupazioni di
carattere storico, ma con l’unico intento di inculcare nel popolo un
insegnamento di fondamentale importanza morale e teologica: la stretta
concatenazione di peccato, castigo, ravvedimento e liberazione dimostra come
l’obbedienza ai comandamenti divini significhi "salvezza" e "prosperità" per il
popolo, mentre la disobbedienza sfocia nel "disastro". Nell’opera confluiscono
anche tradizioni tribali particolari.
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