Infelicemente intitolato Deuteronomio, cioè “seconda legge”, dall’antica
traduzione greca detta dei “Settanta”, il quinto libro della Bibbia – che
sigilla il Pentateuco o Torah o Legge, cioè i primi cinque libri biblici
particolarmente venerati dalla tradizione giudaica e cristiana – sarebbe meglio
definito col titolo ebraico, “Debarim” («parole», «discorsi»). Infatti l’opera
si presenta come una serie di discorsi messi in bocca a Mosè, al cui interno
vengono presentate le leggi che devono reggere Israele. Esse, però, sono
affidate al popolo con particolare passione e intensità. L’ascoltatore è
invitato ad aderire ad esse con amore e fedeltà: è per questo che è
continuamente interpellato ora col “tu” ora col “voi” («Ascolta … Ricordati … Ama
… Osservate … Non dimenticate … Seguite la strada del Signore …»).
Il libro rivela, infatti, un suo linguaggio
particolare, segnato da una calorosa partecipazione: «Ascolta Israele … Il
Signore tuo/nostro/vostro/ Dio (più di 300 volte) … Amare il Signore … con
tutto il cuore e con tutta l’anima … La terra in cui entrate per prenderne
possesso … Camminare nelle vie del Signore … Temere il Signore». L’opera è
costruita, come si diceva, su tre grandi discorsi di Mosè (capitoli 1-4; 5-28;
29-30), conclusi da una serie di testi riguardanti questa celebre guida
dell’esodo e la sua morte. Ma in filigrana si riesce anche a intravedere un
altro schema su cui il Deuteronomio viene ordinato.
È quello dei cosiddetti “trattati di alleanza”. Si comincia evocando gli atti di liberazione e di
salvezza compiuti dal Signore per il suo popolo (capitoli 1-11); si prosegue
con la carta dei doveri di Israele, cioè le leggi da osservare (capitoli
12-26); si conclude con le benedizioni e maledizioni in caso di fedeltà o di
ribellione alla legge del Signore (capitoli 27-30).
Si è pensato che la sostanza dei precetti che si leggono nel Deuteronomio sia da cercare in quel
“libro della legge” ritrovato dal re Giosia nel tempio di Gerusalemme nel 622
a.C. (vedi 2Re 22). Certo è che quest’opera biblica rivela una sua originalità,
tant’è vero che gli studiosi parlano di una vera e propria “scuola
deuteronomica” che ha prodotto questo e altri scritti biblici, come avremo
occasione di dire. Un’opera che tocca il cuore, che celebra la libera scelta
della volontà di Dio, che esalta un Dio vicino a Israele, «il più piccolo di
tutti i popoli della terra», ma eletto dal Signore per amore.
Nota finale
Il Deuteronomio –
ossia “seconda legge” – attraverso una serie di veri e propri sermoni
pronunciati da Mosè sviluppa la legge proclamata sul monte Sinai e riassume i
precedenti eventi della storia di Israele. Gli israeliti stanno per entrare
nella terra di Canaan, dove si stabiliranno, e Mosè parla loro per l’ultima
volta. Ricorda la potenza e il provvidenziale aiuto di Dio, li mette in guardia
dalle tentazioni che troveranno nel paese di Canaan e li esorta a rimanere
fedeli al Signore, perché solo così sarà possibile la loro vita nella terra
promessa.
La datazione di questo
libro è fissata generalmente
al VII secolo a.C., quantunque esso si basi su tradizioni assai più antiche. Il
tema religioso dominante del volume, visibile anche attraverso la sua trama
generale, è quello dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. L’impegno richiesto è
personale: per questo l’autore usa spesso il discorso diretto. Il
caratteristico stile oratorio del libro, in cui viene ribadito con forza il
“Monoteismo” più assoluto, lo distingue dagli scritti del Pentateuco. Agli
albori del Cristianesimo, il Deuteronomio ha diviso con i Salmi una posizione
di preminenza tra i libri dell’Antico Testamento. Gesù stesso si riferisce a
esso nel superare le tre tentazioni del diavolo nel deserto e nello spiegare il
primo e più grande comandamento: «Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno
solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con
tutte le tue forze».
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