venerdì 11 dicembre 2015

IL MISTERO DEL MATRIMONIO CRISTIANO


Nella tradizione popolare, aprile e maggio sono spesso riservati alle celebrazioni nuziali. Entrando in una chiesa dove i due sposi stanno compiendo il loro atto sacramentale è facile che la "seconda lettura" sia il capitolo 5, nei versetti 21-33, della Lettera di Paolo agli Efesini, presente nel Lezionario liturgico del matrimonio. 

Sullo sfondo domina l’amore del Cristo per la sua Chiesa, punto di riferimento capitale per la visione cristiana del matrimonio. L’insistenza è evidente: «...nel modo che anche Cristo vi ha amato... nel timore di Cristo... come al Signore... Cristo è capo della Chiesa... come la Chiesa è sottomessa a Cristo... come Cristo ha amato la Chiesa... come fa Cristo con la Chiesa... lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa...». Riprendendo la tradizione profetica dell’Antico Testamento, Paolo vede nell’amore matrimoniale il segno dell’amore divino per l’uomo e, nell’infinito e perfetto amore di Dio e del Cristo, il modello verso cui deve tendere la coppia cristiana. 

Su questo testo la tradizione cattolica ha fondato la sua fede nella grandezza sacramentale del matrimonio. Certo, Paolo è legato al suo tempo e alla cultura sia semitica sia greco-romana che concepiva la famiglia in chiave patriarcale. Il tema della «sottomissione» della moglie al marito riflette il diritto antico che considerava la donna un essere subordinato rispetto al primato del coniuge. Tuttavia l’Apostolo apre nuovi orizzonti, sorprendenti per il suo mondo e radice della trasformazione cristiana. Inoltre Paolo sviluppa con un’ampiezza maggiore i doveri dei mariti verso le mogli, rifiutando la concezione secondo cui l’uomo è solo depositario di diritti nei confronti della donna. 

E l’impegno dello sposo è alto: «Amate le vostre mogli... i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo». Un amore totale, spontaneo, simile a quello che si riversa sulla propria personalità (il corpo nella Bibbia è simbolo dell’«io»), anche perché «i due formano una carne sola» (Genesi 2,24). C’è, infine, un’ultima ragione che trasforma la tradizionale visione matrimoniale ed è quella, già indicata, del continuo riferimento a Cristo. La donna si consacra al suo uomo nello spirito della donazione di Cristo verso la Chiesa e l’uomo ama sua moglie come il Cristo «che ha dato sé stesso» per la sua Chiesa. Ecco allora la celebre conclusione: «Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa». 

La parola «mistero», tradotta dall’antica versione latina con "sacramentum", aveva fatto concludere alla sacramentalità del matrimonio cristiano. In realtà il termine «mistero» indica solo il grande piano salvifico di Dio nella storia: il matrimonio ne è il grande simbolo, è la parabola luminosa dell’amore divino. Tuttavia Paolo ci indica così il fondamento per scoprire il valore di salvezza racchiuso nel matrimonio cristiano, essendo il riflesso più alto dell’amore e della salvezza offerta da Dio all’umanità. In tal modo prelude alla qualità “sacramentale” del matrimonio, affermata dalla tradizione dottrinale della Chiesa. 

La nostra riflessione giunge ora a una pagina decisiva del vangelo di Matteo (Mt. 19,3-6). Un gruppo di farisei attira Cristo nel tranello di una disputa giuridica che vedeva pareri contrastanti. Il punto di partenza era l’interpretazione di un passo del Deuteronomio che sanciva le clausole per il divorzio: «Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualcosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa» (24,1). La discussione verteva sull’applicazione e la portata delle due clausole: «Essa non trova grazia agli occhi del marito» ed «egli ha trovato in lei qualcosa di vergognoso». 

Si erano, così, formate due scuole, quella di rabbi Shammai, che intendeva in senso rigoroso il testo e concedeva il divorzio solo in caso di adulterio, e quella di rabbi Hillel, che concedeva per qualsiasi causa il divorzio, anche per la noia di vedere sempre la stessa faccia o per una minestra scotta. Ed è forse a questa seconda ipotesi che gli avversari di Gesù alludono parlando di ripudio «per qualsiasi motivo». 

Gesù rifiuta l’impostazione generale del discorso, evitando di farsi coinvolgere nella rete delle diatribe giuridiche. Egli risale alla radice dell’autentico matrimonio, iscritta nella stessa Creazione, e cita il celebre passo della Genesi sull’unità profonda dell’uomo e della donna in «una carne sola» (2,24). Il progetto verso cui il matrimonio deve tendere non è quello minimalista di un contratto, non è quello che si misura prima di tutto sui limiti e sulle debolezze dell’uomo e della donna. Il modello è, invece, quello totale disegnato da Dio nella stessa Creazione in cui la donazione dei due è piena e reciproca. 

La visione cristiana del matrimonio è, quindi, radicale come lo è tutta la proposta etica e religiosa del Cristo. La donazione dev’essere senza riserve; le incrinature devono essere costantemente ricucite, fondandosi sulla forza del sacramento che fa sì che, «ove due sono riuniti nel nome» di Cristo, egli è là «in mezzo a loro» (Matteo 18,20). La dualità sessuale, che è anche espressione della diversità delle personalità, delle esperienze, dei valori e delle culture, si deve fondere nell’unità dell’amore che nasce da Dio stesso. Accostarsi al matrimonio cristiano è quindi una scelta non di cerimonia, di stile, di sentimento. È una decisione impegnativa, da assumere dopo una rigorosa e intensa preparazione, attraverso una verifica seria e con una promessa di fedeltà esigente. 

Tuttavia, c’è anche la fragilità della creatura umana che non di rado non riesce a mantenersi fedele a quell’impegno nuziale. È su questo aspetto, tra i tanti, che si confronterà il Sinodo dei vescovi prossimamente, cercando di tenere in equilibrio la verità e la misericordia, la meta e il percorso spesso accidentato che a essa conduce.


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