mercoledì 24 giugno 2015

LA VITA ETERNA: UNA CERTEZZA ASSOLUTA



Quello che ci aspetta dopo la morte è la «Vita Eterna», ma cos’è questa «Eternità»? Il concetto terreno che abbiamo di «Eterno» è di cosa che non ha principio né fine, cioè di cosa che dura indefinitamente. Sembra, perciò, che tutto sia immobile. Parlare di cosa succeda nella «Vita Eterna» dopo la morte è sempre problematico perché non abbiamo documentazione e neppure testimonianze dirette, e dobbiamo sempre rifarci alle parole evangeliche, a San Paolo, ecc. 

Prima di tutto «Eterno» non è solo ciò che non ha principio né fine (ossia il necessario), ma anche ciò che una volta venuto all’esistenza più non ne esce (come il contingente). E gli uomini sono di questo secondo aspetto. Quanto non ritorna nel "nulla" è «Eterno», e questa è la rivelazione e la promessa di Gesù agli uomini, quando dice che va a preparare i posti per i suoi discepoli, perché siano anch’essi dove lui è (Gv 14,3). 

Che cos’è dunque la «Vita Eterna»? Non è un luogo dove siamo tutti raccolti insieme a giocare, banchettare, a sorriderci. La «Vita Eterna» è uno «stato» di comunione, un «contatto» dell’uomo con Dio, visto faccia a faccia, come esso è (1Gv). La persona umana entra nel vivo dell’essere di Dio e ne viene travolto dall’amore e dalla gioia senza fine. L’amore divino e umano, che si fondono, producono nell’uomo un effetto talmente grande di gioia e piacere, che nessuno se ne vorrà più privare. È la testimonianza di quasi tutti i santi, che sostengono che il momento più tragico per l’anima è al termine dell’estasi, ossia dal contatto con Dio. 

Santa Teresa diceva: muoio perché non muoio. In altri termini, l’amore non è uno stato in cui i due amanti si scambiano di tanto in tanto un sorrisino. L’amore è la più grande, la più elevata, la più dignitosa attività che un uomo possa fare, amare significa conoscere l’altro nella sua pienezza e nel mentre l’altro viene conosciuto come altro, uno impara a conoscere se stesso. I Santi dicono che quando s’incontra Dio, nella luce di Dio, vedono se stessi e si rendono conto di chi sono, dei peccati e di quanta distanza c’è tra essi e Dio, al punto che la luce divina, mentre li fa brillare di conoscenza, disvela anche tutti i difetti dell’anima, che diventa trasparente all’amore divino. Bello è l’esempio di S. Giovanni della Croce che a contatto di Dio la sua anima disvelava tutti i minimi difetti, come quando un bicchiere d’acqua apparentemente cristallina sotto l’azione di una luce brillante disvela la presenza di infinite scorie. 

Ecco perché non ci si annoia ad amare Dio per l’«Eternità»: la nostra conoscenza non potrà mai percorrere il suo essere totalmente, e amandolo sempre più profondamente noi lo scopriamo nella ricchezza della sua vita trinitaria, e questa intimità con Dio è l’attività più elevata dell’uomo, quello che l’uomo aspira e brama, e che mai viene meno, perché il piacere (sia spirituale che fisico, quando riavremo il nostro corpo) sarà talmente elevato che nessuno oserebbe rinunciarci. E questo in un certo senso è visibile nell’amore che abbiamo verso noi stessi, che non cessa, non viene meno nel tempo, e così amare Dio è l’amore più grande che possiamo esprimere per noi stessi. Amare è dunque l’attività, il lavoro, l’azione, l’impegno più oneroso che la «Vita Eterna» comporta, perché l’ingresso nella vita divina è un’attività infinita. 

L’uomo storico, forse condizionato dalla presenza del «peccato», ha ridotto l’amore a un dominio sull’altro, a un possesso, facendo dell’altro un "oggetto per sé stessi", per questo si è incapaci di sentire e capire la valenza eterna dell’amore. Dovremmo perciò educarci ad amare gli altri, ad esprimere il massimo amore verso chiunque, essendo questa l’unica via per voler bene a se stessi, per riuscire a conoscerci e per comprendere quale ruolo nella vita abbiamo. E,pensandoci, questi sono i problemi più grossi che agitano il cuore dei giovani, che non sanno per qual motivo sono nel mondo e che ruolo in esso debbono avere, problemi che si risolvono solo in ragione di una comprensione piena dell’amore nella loro vita. 

Una riflessione sulla «Vita Eterna» ci illumina sull’ordine logico della nostre attività terrene: primo è amare, secondo è il lavoro che fluisce come conseguenza di quella attività. Infatti un uomo è tale qualsiasi lavoro faccia, ma se non ama abbrutisce se stesso e si rinnega come essere umano. Dunque l’amore verso gli altri è il necessario, ed è la ragione della «Vita Eterna». Le altre attività sono secondarie e non necessarie. Eppure noi vediamo che si passano anni e anni per imparare un mestiere, e non ci sono insegnamenti per imparare ed educarsi ad amare. 

La «Vita Eterna» ci dice infine che nella luce divina, noi siamo aperti sugli altri. Nell’amare Dio non solo siamo in relazione con lui, ma anche con tutti gli altri esseri umani che finalmente saremo capaci di amare, di apprezzare e di valorizzare, cose queste che forse nella nostra vita terrena non siamo stati in grado di praticare. Dunque mi sembra che di cose da fare ne avremo nonostante l’«Eternità», anche perché l’«Eterno» non ha un prima e un dopo (tempo), ma è una vita vissuta nell’attimo (tota simul) e in piena perfezione (perfecta possessio). 

Non c’è problema più importante dell’esistenza della «Vita Eterna». Problema drammatico! Eppure molti non se lo pongono e tanti lo negano. Pascal afferma: «Quella trascuratezza (di non pensare all’esistenza dell’al di là), in un affare in cui si tratta di loro stessi, della loro “eternità”, del loro tutto, mi irrita più che mi commuova; mi stupisce e mi spaventa; è un mostro per me». Dante Alighieri (nel Convivio) grida: «Fra tutte le bestialità ve n’è una stoltissima, vilissima e dannosissima ed è questa: credere che dopo questa vita non ve ne sia un’altra». Se non ci fosse la vita futura, questa mia vita terrena non avrebbe alcun significato, poiché io sono sulla terra unicamente per conoscere, amare Dio, far la sua volontà, e così raggiungere la felicità “eterna”. 

La Ragione esige una vita ultraterrena in cui si faccia giustizia: Ora, se non ci fosse un’altra vita in cui si faccia piena giustizia, Dio o non esisterebbe o non sarebbe Dio. Ma Dio esiste ed è Dio, cioè è giustizia infinita. C’è, dunque, un’altra vita in cui Dio farà perfetta giustizia. Perfino Rousseau esclamava «Se non avessi altra prova dell’immortalità dell’anima che il trionfo dei malvagi e l’oppressione dei buoni in questo mondo, ciò solo basterebbe ad impedirmi di metterla in dubbio». 

C’è un consenso universale sull’esistenza dell’«al di là»: è criterio di verità ciò che sempre, ovunque e da tutti è stato creduto. Tale è il problema dell’esistenza di una vita oltre le soglie della morte. L’hanno creduta tutti i popoli e tutte le religioni di tutti i luoghi e in ogni tempo; come risulta da rigorose indagini. Inoltre quasi tutti gli uomini più intelligenti dell’umanità (sommi filosofi, sommi scienziati, e artisti e letterati, ecc.) hanno creduto nella vita ultraterrena. Noi credenti siamo in compagnia dei sommi geni dell’umanità e di tutti i Santi che sono le persone più sagge e più sapienti. Omero dice: «Gli uomini pii vivono beati nell’altra vita». Shakespeare afferma: «Raccomando la mia anima al mio Dio Creatore, sperando e fermamente credendo che io sarò ammesso a partecipare alla vita immortale». Goethe ammonisce: «Coloro che non sperano una vita futura, sono morti anche per la vita presente». Victor Hugò esclama: «Io non cesserò mai di ripeterlo: la morte non è la notte, ma la luce; non è la fine, ma il principio; non è il niente, ma l’eternità». Perfino Mazzini parla di un’altra vita oltre la morte nella quale rivedremo per sempre i nostri cari defunti: «La verità della nostra fede mi è balzata agli occhi nei momenti i più solenni, i più terribili della vita: io so che ci rivedremo. La riunione delle nostre anime avrà luogo sotto l’ala di Dio. Vedrete tutti quelli che avete amato. Soffrite, dunque, mia buona madre e amica, soffrite rassegnatamente e con gli occhi fissi in quell’avvenire. Dio vi destina fuori di questa terra. Questa non è vita, abbiamo l’altra. Guai se questa fede mi mancasse. Ma la ho fermissima». 

Emanuele Severino, nei suoi scritti, ha sempre indicato la «Necessità» che non solo l' uomo, ma tutte le cose siano «Eterne» (Vedi Post marzo 2013 Il Filosofo della Verità). Tutte le cose: situazioni, configurazioni, modi di essere, relazioni, attimi, ombre, universi, pensieri, affetti, decisioni, stati visibili e invisibili, nessuna esclusa. Il tempo, la storia, e il comparire e lo scomparire degli eterni. 

La verità assolutamente innegabile esiste e tutto ciò che esiste (nel presente, nel passato, nel futuro) è «Eterno», ossia non esiste alcunché che esca dal proprio esser stato «nulla» e che sia travolto nel «nulla». Certo, la più sconcertante delle affermazioni. L'esito del destino della verità deve dunque ritornare ad essere, per l'uomo, la consapevolezza dell'«Eternità» di tutti gli “enti” e quindi dell'inesistenza del “Divenire”, suo presupposto, la cui evocazione, avvenuta per la liberazione della potenza dell'uomo, è pura follia, in quanto, come diceva Parmenide, «l'essere è e non può non essere». Le determinazioni dell’essere sono Immutabilità, Eternità, Incorruttibilità, Ingenerabilità, Unicità e Necessità. 

La Bibbia ci dà la “certezza assoluta” della «Vita Eterna»: ecco qualche affermazione, fra tante: «Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura» (Sap 2,23) «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero...; per una breve pena riceveranno grandi benefici» (Sap 3,1-5) «Il giusto, anche se muore prematuramente, troverà riposo. Divenuto caro a Dio, fu amato da Lui, e poiché viveva tra i peccatori, fu trasferito. La sua anima fu gradita al Signore, perciò Egli lo tolse in fretta da un ambiente malvagio» (Sap 4,7-14). «Gli empi che deridevano il giusto, quando compariranno al Giudizio di Dio riconosceranno di essere stati stolti e che per loro ci sarà la perdizione eterna, mentre i giusti andranno tra i Santi a ricevere una meravigliosa corona dal Signore» (Sap 5,1-16). 

Giovanni Paolo II per confermare in questa fondamentale verità coloro che sono nel dubbio, ha fatto emanare dalla "Congregazione per la difesa della fede" una “dichiarazione sull’esistenza della vita eterna” (nel 1979) in cui ci ricorda che l’anima è “spirituale” e quindi non morirà mai, e, con la “morte corporale” l’anima entra nell’«eternità». Alla fine del mondo ci sarà certamente la risurrezione dei corpi. Siamo certi che esiste il purgatorio e l’inferno ("ove una pena eterna attende per sempre il peccatore"), e il paradiso ove "noi saremo con Cristo e vedremo Dio", partecipi per sempre della sua gloria. 

Molti sono venuti dall’altra vita! Soprattutto è venuto Gesù!... Non possiamo non rispondere a una obiezione che tanti ripetono: Non esiste l’«al di là» perché nessuno dei morti o degli angeli è venuto a dircelo. Questa è una obiezione tanto vecchia quanto insensata; infatti la nostra partenza per l’«eternità» è irreversibile e nessuno può ritornare sulla terra, se Dio, nella sua infinita potenza e misericordia, non lo permette. Ebbene Dio ha permesso che tante persone venissero dall’altro mondo, prendendo forme visibili. Molte apparizioni sono riportate dalla Bibbia e moltissime altre sono attestate da documenti e testimonianze sicurissime e irrefutabili. Anche una sola apparizione documentata sarebbe sufficiente per darci la certezza dell’esistenza della «Vita Eterna»! 

I Morti sono apparsi frequentemente: A Gesù sul Tabor apparve Mosè ed Elia. Quando Gesù spirò sulla croce, molti morti uscirono dai sepolcri e si fecero vedere per le vie di Gerusalemme. A S. Tommaso apparvero due anime del purgatorio: una sorella e un Frate domenicano (Romano). A S. Perpetua apparve il fratellino Dimocrate; a S. Vincenzo Ferreri, la sua sorella Francesca; a S. Caterina da Siena, il suo padre; a S. Giovanni Bosco, la sua mamma. A Roma, in Via Lungotevere Prati, c’è un museo del Purgatorio in cui si conservano oggetti diversi (tavolette, coperte, libri) sui quali sono delle impronte che i defunti, apparendo, lasciarono. 

Anche i Demoni sono apparsi, prendendo forme diverse: sono apparsi ai nostri progenitori, a Gesù nel deserto, a S. Antonio Abate, a S. Francesco, al S. Curato d’Ars, a P. Pio da Pietrelcina, a moltissimi altri. 

I Santi sono apparsi numerosissime volte: molte di queste apparizioni sono narrate da Santi, come S. Bonaventura che racconta tante apparizioni di S. Francesco d’Assisi dopo la sua morte; moltissime altre sono state attestate con giuramento da persone oneste e spesso scrupolose in occasione dei processi di beatificazione e di canonizzazione. 

Gli Angeli sono apparsi molte volte: S. Gabriele apparve alla Vergine. S. Raffaele apparve a Tobiolo e lo accompagnò nel suo viaggio. S. Michele apparve più volte nelle vicende del popolo ebraico. Ci sono altre innumerevoli apparizioni di angeli. 

È apparsa la MADONNA molte volte, in tante località della terra; e sono numerosi i Santuari mariani che testimoniano tali apparizioni. Ricordiamo in particolare le celebri apparizioni a Lourdes, a Fatima, e ancor oggi, dopo più di trent’anni, a Medjugorje. "Le testimonianze di tante apparizioni di anime purganti (o dannate o felici in Cielo) ormai sono una realtà scientifica anche per gli scienziati miscredenti". 

Soprattutto è venuto GESU’ dall’altra vita ed è venuto specialmente per assicurarci che esiste la vita oltre la morte. Nel suo insegnamento, contenuto nel vangelo, ad ogni passo parla della «Vita Eterna»; sovente parla del “premio eterno” e del “castigo eterno” e della “risurrezione dei corpi”. 

Dunque certamente esiste la «Vita Eterna»; ma c’è "un’eternità di gioia", e "un’eternità di tormenti". Affinché possiamo conquistare una "eternità di gioia", tutto in noi – pensieri, parole, opere, desideri, affetti, azioni – tutto deve essere orientato verso Gesù, tutto illuminato dalla fede in Lui, tutto animato dall’amore a Gesù e al prossimo. Così l’anima nostra, insieme al nostro corpo risuscitato, vivrà con Gesù, con la Madonna, con tutti i santi nell’«eternità» beata. 

ESEMPIO. Il Servo di Dio Papa Giovanni XXIII con la sua dolorosa e santa agonia commosse tutto il mondo; ripeteva ai suoi fratelli e alle sorelle: non piangete; sono alla vigilia di una grande festa (alludeva al suo ingresso nel Cielo). E soggiungeva: la vera vita non è questa “vita terrena”, la quale passa tanto velocemente, ma è quella che c’è dopo la morte del corpo, poiché quella è «Eterna», non avrà mai fine. E si preparava sempre meglio all’ingresso alla «Vita Eterna» con frequenti invocazioni alla Madonna: ripeteva: "Mater mea, fiducia mea!" E continuò a ripetere questa invocazione fino all’ultimo respiro, quando aggiunse le parole: "Gesù! Maria!" e dolcemente spirò. 

È con questa grande fiducia nella Madonna che anche noi potremo scorgere nella morte non il termine, non il "nulla" (come dicono gli stolti), ma la "culla" ossia l’inizio di un avvenire meraviglioso.


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