"Quando verrà dissolta la nostra «casa terrena»,
cioè la tenda del nostro corpo, avremo da Dio una dimora, sarà una «casa eterna»,
non edificata da mani d’uomo, celeste." (2 Corinzi 5,1).
Siamo «abitatori di case d’argilla, cementate nella polvere,
e che si sfasciano come carie... Le corde della tenda sono strappate e moriamo
senza capire». Le parole amare e realistiche del libro di Giobbe (4,19-21) dipingono la
radicale fragilità della creatura umana che un altro sapiente biblico, l’autore
del libro della Sapienza, tratteggerà con un linguaggio desunto dalla cultura classica greca che marcava la tensione tra
«anima spirituale» e «corpo materiale»: «Un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla grava la
mente dai molti pensieri » (9,15).
È, questa, un’esperienza che
tutti proviamo quando, attraverso una malattia, sentiamo ramificarsi in noi la
mano gelida della "morte" che crea un disfacimento della «tenda del nostro corpo» in cui sembra
accampata la nostra anima. Questa immagine nomadica della «tenda» è cara naturalmente alla Bibbia che si rivolge a un popolo
di pastori.
Ecco come il re di
Giuda, Ezechia, contemporaneo di Isaia (VIII secolo a.C.), descriveva la sua
situazione di malato grave: «La mia tenda sta per
essere divelta e scagliata lontano da me, come una tenda di pastori. Come un
tessitore tu, o Dio, hai arrotolato la mia vita e stai per recidermi
dall’ordito» (Isaia 38,12).
Anche San Paolo ricorre a queste
immagini per descrivere la nostra "morte": parla, infatti, di «tenda», ma rimanda pure all’emblema del
sedentario, l’oikía in greco, ossia la «casa». Tuttavia, il suo sguardo va oltre questa dissoluzione che per molti è il
tragico approdo ultimo e unico della nostra esistenza. E lo fa sulla base della
“Fede” nella «risurrezione di Cristo». Nello
sfacelo della "morte" è, infatti, passato lo stesso Figlio di Dio, che di sua
natura è «Eterno»: in quell’ammasso
di argilla sfatta che è il cadavere ha deposto un germe di «Eternità», vi ha immesso il
principio della nostra riedificazione gloriosa.
Ecco, allora, la nostra nuova dimora che, come il corpo risorto di Cristo, non è «edificata da mani d’uomo». Gesù stesso l’aveva
indirettamente affermato per sé e annunciato davanti ai giudici del Sinedrio
quando non aveva smentito l’accusa dei testimoni che affermavano: «Lo abbiamo udito dire: Io distruggerò questo tempio eretto da mani d’uomo e
in tre giorni ne edificherò un altro non eretto da mani d’uomo» (Marco 14,58).
Infatti, un giorno, dopo aver cacciato i mercanti dal tempio, aveva dichiarato:
«Distruggete questo tempio e in tre
giorni lo farò risorgere». E l’evangelista Giovanni aveva commentato: «Egli parlava del tempio del suo corpo» (2,19.21).
L’apostolo Paolo agli stessi
cristiani di Corinto aveva descritto così la «risurrezione» che ci
attende: «Si semina un corpo
corruttibile e risorge incorruttibile; si semina un corpo animato, risorge un corpo spirituale» (1Corinzi 15,42-44).
Significativa è l’ultima frase
nell’originale greco: ciò che ora noi siamo è un «corpo animato», ossia congiunto e reso vivo e operante dalla psyche, l’“anima”; ma
l’attesa è per un «corpo animato» dallo pneuma, cioè posseduto e trasformato
dallo “Spirito di Dio”, «un corpo spirituale», pervaso dalla stessa vita divina,la
«casa eterna, non edificata da mani d’uomo e
celeste», di cui parla San Paolo nella nostra riflessione.
Nessun commento:
Posta un commento