sabato 18 aprile 2015

M. LUTHER KING: «IL SOGNO DELLA NON VIOLENZA»


M. L. King Vedeva l'egoismo come un qualcosa di distruttivo per l'essere umano, affermava che chiunque potesse essere grande anche senza istruzione o competenze bastava un animo gentile; vedeva nel continuo progresso l'assenza dell'animo umano che diventava piccolo di fronte alle sue opere gigantesche, la ricchezza la si poteva ottenere soltanto se la povertà cessasse di esistere. Affermava che chi non fosse pronto a morire per un qualcosa in cui crede non possa essere «pronto a vivere» e che le qualità di un uomo si mostrano solo quando deve affrontare una situazione difficile, solo il coraggio poteva vincere la paura.

Il pensiero di M. L.King si espresse criticamente, sia verso il Capitalismo selvaggio sia verso il Socialismo reale, realizzato in URSS ed in altri paesi. King sostiene nei suoi sermoni, in particolare un sermone dedicato alla giustizia e riportato integralmente nel libro “La forza di amare (casa editrice SEI), la necessità di riconoscere «il bene e il male» in entrambi i sistemi economici che si fronteggiavano durante la guerra fredda. 

Partendo dalla convinzione che Dio desidera liberare dal peccato la stessa struttura sociale ed economica, descrisse come il Capitalismo è fonte di libertà e ricchezza per l'uomo ma al tempo stesso fonte d'impoverimento spirituale perché produce «materialismo e consumismo» sfrenato, così come il Comunismo sovietico è nato da giuste esigenze di eguaglianza ma distrugge la libertà individuale e annienta l'uomo con i suoi mezzi crudeli e aberranti. 

M. L. King credeva nel sogno della fratellanza umana tra i popoli della Terra, nella cosiddetta "beloved community" (comunità d'amore) che era ai suoi occhi la "sintesi creativa" della tesi (Capitalismo) e dell'antitesi (Comunismo), motivata da una profonda fede in Gesù CristoKing ribadì sempre la sua scelta di rifiuto totale di ogni forma di strumento violento. «L’amore è l’unica forza capace di trasformare un nemico in un amico»

Martin Luther King aveva trentanove anni quando un cecchino gli sparò mentre parlava dal balcone di un motel a Memphis. Aveva iniziato il suo percorso sperando di diventare un predicatore battista, ma quando morì, nel 1968, aveva condotto milioni di persone ad abbattere il sistema della segregazione razziale del “Sud”, lasciandoci in eredità la speranza che «l’amore, la verità e il coraggio di fare ciò che è giusto», potessero essere il faro del nostro cammino. 

Con queste parole Coretta Scott King, introduce il libro che racchiude i discorsi dell’uomo simbolo della lotta Afro-Americana per i diritti civili. Una raccolta, “Il Sogno della non violenza (edito Feltrinelli, 2013), in cui si racchiudono alcuni dei discorsi più incisivi del leader del movimento che ha scosso le fondamenta dell’America razzista. Dagli appelli alla comunità degli uomini, al più celebre “I Have a Dream”, tenuto al Lincoln Memorial nel 1963. 

I discorsi di King riassumono la dedizione di una vita consacrata alla rivoluzione. Una rivoluzione certamente difficile, che ha fatto pressione sulla necessità di un’educazione adeguata, attraverso la quale la popolazione nera potesse trovare le parole adatte per rivendicare una dignità calpestata, in un’America in cui le radici della segregazione razziale sono state, negli anni, nutrite dall’ignoranza del Sud, estendendosi in forma meno palese, ma altrettanto agghiacciante, fino al Nord America. Fu dopo il discorso tenuto nell’agosto del 1963 al Lincoln Memorial che King incontrò John F. Kennedy alla Casa Bianca, perché il dialogo, continuo e incessante, doveva essere il mezzo principale attraverso cui ottenere ascolto. La violenza non paga, la violenza perpetua la disuguaglianza e rende inutile la lotta. 

Sono queste le basi del pensiero di Martin Luther King che, dopo aver studiato il pensiero di Gandhi, viene folgorato da un’illuminazione. Finalmente ha davanti la risposta alla domanda di riforma sociale che stava cercando. Il leader nero si preoccupa di conciliare il pacifismo cristiano con le rudezze dell'azione. Rimane affascinato dai discorsi di Gandhi e dal suo metodo di protesta attuato in India, maturando l'idea di applicare la teoria gandhiana della «non-violenza» alla rivoluzione nera. Incita così a non rispondere alle offensive dei bianchi o della polizia, protestando entro i limiti della legalità. Apre trattative con le autorità, tiene discorsi e comizi, viaggia in tutto il Sud degli States per diffondere le sue idee. In particolare, King adotta nel suo movimento il metodo delle «marce di protesta», che hanno grande impatto sulla popolazione, sia nera che bianca. I neri utilizzano anche il «sit-in», cioé l'occupazione di uno spazio stando seduti, opponendo solo una resistenza passiva alle forze di polizia, rifiutandosi di sgomberare e lasciandosi portare via di peso. 

Durante gli anni della lotta, King viene più volte arrestato e molte manifestazioni da lui organizzate finiscono con violenze e arresti di massa; egli continua a predicare la «non-violenza» pur subendo minacce e attentati.
«Noi sfidiamo la vostra capacità di farci soffrire con la nostra capacità di sopportare le sofferenze. Metteteci in prigione, e noi vi ameremo ancora. Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli, e noi vi ameremo ancora. Mandate i vostri incappucciati sicari nelle nostre case nell'ora di mezzanotte, batteteci e lasciateci mezzi morti, e noi vi ameremo ancora. Fateci quello che volete e noi continueremo ad amarvi. Ma siate sicuri che vi vinceremo con la nostra capacità di soffrire. Un giorno noi conquisteremo la libertà, ma non solo per noi stessi: faremo talmente appello alla vostra coscienza e al vostro cuore che alla fine conquisteremo anche voi, e la nostra vittoria sarà piena.»
 

Una riforma necessaria, perché fino a quel momento l’America ha tradito il suo sogno. La promessa della ricerca della felicità si è distorta, ritorcendosi contro parte di quella stessa popolazione che aveva aiutato la minoranza bianca a costruire una terra di promessa e speranza. Sposando la politica del “manifest destiny”, l’uomo bianco si è costruito un mostro su cui rigettare le proprie paure, il suo opposto, l’altro come incarnazione della parte oscura della propria anima. Lo ha costretto alla povertà, umiliato, privato dei suoi diritti, e segregato in un angolo lontano dallo sguardo. Una ronda di uomini nascosti da un lenzuolo bianco, come fantasmi invasati da una deviata volontà divina, il Klu Klux Klan, li ha torturati, appendendoli agli alberi, castrandoli, violentando le donne, dando fuoco alle loro case spesso ancora abitate. 

Ma Martin Luther King  aveva ben presente quale fosse il rischio di una reazione violenta a questa provocazione. Non solo reagendo con la stessa moneta la popolazione nera avrebbe perso il senso di umanità, ma più di tutto, King coglie un elemento fondamentale, che spesso ricorre tra le parole dei suoi discorsi: gli uomini, a qualunque razza appartengano, sono legati tra loro indissolubilmente, se uno resta indietro, è una colpa che trascina dietro tutti. «La comprensione tra le razze, così come la vita, non è qualcosa che troviamo già pronto, bensì qualcosa che dobbiamo forgiare». Ripetendo queste parole Martin Luther King va incontro al suo destino. Una raccolta intensa, per certi versi profondamente attuale, che ricorda la misura della forza delle parole. Rivoluzionarie quanto una battaglia.



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