Il compito che Heidegger si propone, muovendo da una ridefinizione e da un
approfondimento della prospettiva «fenomenologica», è quello di riportare al
centro dell’analisi filosofica il problema dell’«Essere», di delineare, cioè,
un’«Ontologia». Ma poiché l’«Essere» si fa avvertire tramite
quell’interrogazione sul suo «Senso» che gli uomini da sempre sollevano, la
comprensione di esso deve essere ricercata attraverso la comprensione di quel
particolare «esserci» che è l’uomo, la cui prima struttura costitutiva è
l’«Esistenza». Così l’originario progetto «ontologico» di Heidegger si precisa in
un più concreto e stimolante progetto di analisi dell’«Esistenza», che larga
influenza avrà sullo sviluppo della cultura contemporanea.
La chiarificazione di quelli che sono i caratteri e i modi
dell’«Esistenza» mette in luce la dimensione della temporalità come costitutiva
del «Dasein» (l’Esserci). Al di fuori
di questa, non ha senso parlare di un tempo assoluto nel quale l’uomo – come
tutti gli altri «fenomeni» – sarebbe calato. In questa temporalità esistenziale
ciò che Heidegger privilegia è il «futuro», in cui si proiettano le possibilità
ontologiche del «Dasein» e si colloca
l’orizzonte della stessa comprensione dell’«Essere».
Heidegger ha sempre sostenuto che l'Occidente è, nel «Senso»
più essenziale, la Terra del tramonto e dell'errare. Vi tramonta il fondamento
di ogni opera umana e divina, della terra e del cielo, e dunque della stessa
totalità degli enti. Tale fondamento e' il «Senso» autentico dell' «Essere»,
intravisto dai primissimi pensatori greci e subito dimenticato. Non e' mai
stato facile stabilire in che «Senso» per Heidegger l'Occidente sia un «Errore»,
anzi l' «Errore»; in che «Senso», ad esempio, sia «Errore» il Cristianesimo, la
Scienza moderna, il Nazionalsocialismo.
L'
«Essere», per Heidegger, non e' nessuno degli enti; non e' nemmeno quel
«Super ente» che e' il Dio della tradizione occidentale. Nell'antica lingua
greca e' presente la parola «aletheia», che viene solitamente tradotta con la
parola «Verità», ma la cui traduzione più appropriata, e anche più letterale,
e' dis-velamento (dove il prefisso dis corrisponde all'alfa privativo di a -
letheia).
Heidegger lo
interpreta come una luce che sorge dall'oscurità e che illumina le cose; e
aggiunge, spintovi dal «Senso» greco di quella parola, che tale luce, ancor
prima di illuminare le cose, quindi indipendentemente da esse, apre una radura
luminosa che non e' costituita da alcun ente e non rappresenta alcun ente, ma
e', appunto, l' «Essere» di ogni ente. Per i primi pensatori greci la «Verità»
non padroneggia dunque e non domina gli enti, ma, disvelandoli, li lascia
essere nella luce. La «Volontà di Potenza» appartiene al tramonto del «Senso»
greco originario dell' «Essere». Qui non si tratta di mettere in rilievo la
profonda arbitrarietà di questa interpretazione, ma di richiamare l' attenzione
sulla chiarezza con cui in queste pagine Heidegger mostra il legame che unisce
il velamento dell' «Essere», alla «Volontà di Potenza», al nuovo «Senso» della «Verità»,
affermato dal mondo Romano-Cristiano, e all' «Errore», il legame che porta al
tramonto la grecità originaria e da cui sarà guidata l'intera storia dell'Occidente.
Ecco lo stravolgimento
essenziale: il verum romano e' proprio ciò che i Greci chiamano il
velamento, il latente, ossia, il non vero! La barriera, poi, e' affidabile solo
se resta al proprio posto, cioè resta in piedi, stabile, eretta, senza cadere
(tutti significati, anche questi, contenuti nella radice ver), sì che il verum
Romano-Cristiano e' ciò che sta saldamente diritto, domina l'uomo e le cose. Esso
e' «Volontà di Potenza», Comando (Il comandare in quanto fondamento essenziale
del potere implica l'essere al di sopra). Heidegger trascura anche questa
volta che lo stare saldamente diritto e' il significato più proprio di ciò che
i Greci chiamano sin dall' inizio «Episteme» e che noi traduciamo
impropriamente con la parola «Scienza»; ma intanto egli può affermare che nel
mondo Romano, Imperiale, Curiale, Cristiano il «Senso» autentico della «Verità»
come Dis-velamento e' andato perduto.
Quando
Cristo dice: «Io sono la Via, la Verità , la Vita», in queste parole,
di greco e' rimasta ormai soltanto la lettera. La romanità stabilisce il volto
del Cristianesimo e l'imperium statale diventa l'imperium ecclesiastico, cioè
il sacerdotium (L' imperiale viene ad assumere la forma del curiale della curia
del Papa romano, il cui potere si fonda anch'esso sul comando). Mentre gli Dei
greci sono il risplendere di enti, anzi sono l' «Essere» stesso che guarda entro
l'ente, e non sono persone (come la psyche greca non e' l'anima cristiana),
invece il Dio Creatore e Redentore padroneggia e calcola ogni ente.
Anche la Scienza moderna e' per
Heidegger un padroneggiamento conoscitivo dell' Ente, che non ha più nulla a
che vedere con il Dis-velamento dell' «Essere». Nella storia dell'Occidente
anche la Politica, che nella polis greca e' il luogo stesso del Dis-velamento,
viene ad essere concepita in modo Romano. Sebbene Heidegger non lo dica
esplicitamente, anche il Nazionalsocialismo e' dunque (come Simone Weil aveva
sostenuto) nella sfera della romanità.
La
Veritas e' il velamento dell' «Essere», la dimenticanza e il tramonto
del «Senso» autentico della «Verità» . Questo velamento e' la radice dell' «Errore»:
La dimenticanza dell' «Essere» induce in «Errore» la storia dell' umanità. Un
discorso chiaro, dunque, che giudica negativamente quella storia , e quindi
anche il Cristianesimo. Ma perché, allora, proprio in quegli anni Heidegger
scriveva che il suo pensiero lasciava impregiudicati i problemi dell'esistenza
di Dio e dell' immortalità dell'anima, che il Cristianesimo risolve
positivamente?
Non vi sono
Tesi somme, ossia Principi, Verità eterne che sovrastino la storia, il tempo,
il divenire. A esprimere questo «rifiuto», ormai, non sono soltanto le forme
filosofiche del nostro tempo, ma anche la Scienza: non soltanto la Filosofia ,
che riferisce tale rifiuto a ogni pensiero e azione dell'uomo, dunque anche a
se stessa, ma anche, e da tempo, la Scienza, nella misura in cui essa si libera
dall'illusione di essere, oltre che «Potente», assolutamente «Vera».
la struttura di fondo del pensiero di
Heidegger rimane immutata. A cominciare, appunto, da quel «rifiuto» di
ogni Tesi somma e di ogni Verità eterna e soprastorica. In «Essere e Tempo» si
dice: Che ci siano delle Verità eterne potrà essere concesso come dimostrato
solo se sarà stata fornita la prova che l' Esserci era è e sarà per tutta l'eternità.
Fin che questa prova non sarà stata fornita, continueremo a muoverci nel campo
delle fantasticherie. Heidegger sta dicendo che, fino a quando non si proverà
che l' uomo (cioè l' Esserci) è «Eterno», «Eterno», non semplicemente immortale,
sarà solo una fantasticheria parlare di Verità eterne. Ma per Heidegger è del
tutto ovvio che l'uomo (come ogni cosa del mondo) non è «Eterno» e che quindi
quella prova non potrà mai esser data, per Heidegger, dico, come per tutti
coloro che in qualsiasi campo hanno pensato ed agito da quando, all'inizio
della storia dell' Occidente, è apparso il «Senso» del Tempo e dell' «Eterno».
Che nessuna cosa con cui l' uomo abbia a che fare sia «Eterna» è diventata
ormai la convinzione più profonda e scontata anche presso la gente comune,
tanto che starvi a riflettere sembra una pura perdita di tempo.
Emanuele Severino, nei suoi
scritti, ha sempre indicato la «Necessità» che non solo l' uomo, ma tutte le
cose siano «Eterne» (Vedi Post marzo 2013 E. Severino Il Filosofo della Verità). Tutte le
cose: situazioni, configurazioni, modi di essere, relazioni, attimi, ombre,
universi, pensieri, affetti, decisioni, stati visibili e invisibili, nessuna
esclusa. Il tempo, la storia, e il comparire e lo scomparire degli eterni.
Occorre ritornare a Parmenide, e, oltre Parmenide: «L’essere
è e non può non essere». Le determinazioni dell’essere sono Immutabilità,
Eternità, Incorruttibilità, Ingenerabilità,
Unicità e Necessità. E la «Necessità» che ogni cosa sia «Eterna» è qualcosa
di essenzialmente più radicale di quella prova dell'«Eternità» dell'uomo che per
Heidegger non potrà mai esser data (Vedi Post Genn. 2015 Il Firmamento , oltre Parmenide)
Dall'inizio
alla fine il tema di questo pensatore è stato la domanda dell'
«Essere». La domanda, che continua ad attendere la risposta, ma che in questa
attesa mostra, per Heidegger, tutta la propria grandezza. L' «Essere» non è l'Ente,
non è alcuno degli enti (case, fiumi, stelle, pensieri, azioni, uomini, dèi),
di ognuno dei quali si dice tuttavia che è e che è questo e quest' altro. Qual
è il «Senso» di questo è, ecco la domanda dell' «Essere», da cui tutto in
qualche modo dipende? Dai Greci a Nietzsche la Filosofia è stata riflessione
sul «Senso» dell' Ente, ossia è stata Pensiero Metafisico, e ha quindi velato
la domanda dell' «Essere», pur dando vita alla storia dell'Occidente. Quella
domanda sta, per Heidegger, al di sopra di ogni asserire. Si trova alla sommità
del pensare, ma non per questo è una Tesi somma, una Verità assoluta. Essa è
storica. Anzi, come Nietzsche non ritiene di esser già lui il «Super Uomo», ma
di esserne il profeta, così Heidegger, nei Contributi, non attribuisce al
proprio discorso nemmeno la capacità di costituirsi come l' autentica domanda
dell' «Essere», ma solo il carattere di un Pensiero Transitorio, che ai fini
della comunicazione deve spesso procedere ancora lungo il tracciato del
pensiero metafisico, e i cui sforzi saranno un giorno superflui e ricadranno
nell' accidentale.
In una conferenza
pubblicata nel 1964 e intitolata La fine della Filosofia e il compito
del pensiero, Heidegger aggiungerà che al proprio pensiero non può esser
riconosciuta alcuna azione immediata o mediata sulla dimensione pubblica dell'epoca
industriale, improntata dalla Scienza-Tecnica, e che il suo compito ha solo un carattere
preparatorio e nient'affatto fondante, giacché gli basta risvegliare una
disponibilità dell'uomo per una possibilità, i cui tratti restano oscuri e il
cui avvenire incerto. Va tuttavia anche detto che queste affermazioni non sono
affatto, come Heidegger esplicitamente dichiara, espressione di una falsa
modestia, giacché quell'oscurità e incertezza, quella incapacità di influire
sul mondo della Tecnica, quel carattere preparatorio e non fondante non sono,
per lui, semplici caratteri della scrittura dell'individuo Heidegger, ma sono
insieme, e addirittura primariamente, il modo in cui l' «Essere» stesso si vela
e si ritrae dall'epoca presente. E lo stesso si può dire di quella superfluità
e accidentalità che nei Contributi Heidegger attribuisce al proprio pensiero. I
Contributi sono pertanto grandi prove di una Filosofia che vorrebbe
allontanarsi dalla tradizione metafisica, pur riconoscendo tutte le difficoltà
a cui questo tentativo va incontro, ma insieme essendo convinta che tali
difficoltà non sono dovute alle carenze di un certo individuo umano, ma sono le
difficoltà in cui le cose stesse si trovano e secondo le quali si
costituiscono.
Heidegger
intende rovesciare la metafisica senza abolirla (e il timbro della sua filosofia
risulta fortemente neoplatonico), senza cioè abolire la Fede che guida l'Occidente
e ormai il Pianeta: la Fede che l'uomo e le cose non sono «eterne». Tra i temi
più in vista e operanti, nei Contributi, quello del creare, che è concetto
essenzialmente metafisico. (Quanto è lontano da noi il Dio, quello che ci
nomina fondatori e creatori, perché di costoro ha bisogno la sua essenza?). Ma,
dico, nessuna cosa creata è «Eterna». È creata proprio perché non è «Eterna».
Nessun creatore crea l' «Eterno». E dell' «Essere» stesso Heidegger esclude che
sia «Eterno». L' «Essere» stesso è storico.
Ma
questa fede nella «non Eternità» di ciò che è non esprime forse la «follia»
estrema? non pensa forse che ciò che è non è (giacché non è eterno)? che il non
niente è niente? che cioè gli essenti sono il nulla? certo questa non è come la
domanda di Heidegger. Qui è la Risposta, positiva e già da sempre data e non da
uno di noi, ma dalla «Necessità», a sorreggere la domanda.
Nota
Finale:
Nessun commento:
Posta un commento