In questo concetto si può esprimere il
Pensiero Centrale del Cristianesimo , cioè , Il «Sacrificio» col quale Cristo,
innocente, salva gli uomini dalle conseguenze della «Colpa». Nel «De Trinitate»
Agostino scrive (13,16,21) che Cristo «Ha sofferto una morte temporale, che non meritava, per liberare gli uomini
da una Morte Eterna che meritavano», la «Morte Eterna della Dannazione».
Il Cristianesimo richiede non
solo che la giustizia divina sia accompagnata dal pentimento del colpevole, ma
anche che l'innocente che paga il debito ami il debitore, ne sia l'amico. Con
l' «Amore», l'innocente che paga il debito e il debitore colpevole diventano
infatti una sola cosa (Amicitia ex duobus facit unum, dice Tommaso, che su
questo tema così cristiano sente il bisogno di rifarsi a Aristotele). Per
questa unificazione accade che sia il debitore stesso, nonostante la sua impotenza,
a pagare il debito, con l'aiuto e le forze del suo amico. Eppure, dal punto di
vista stesso del Cristianesimo, non sembra che in questo modo le condizioni
della giustizia divina siano rispettate.
La
difficoltà e' indicata dallo stesso passo del «DeTrinitate» di Agostino
che sopra abbiamo richiamato: Cristo ha sofferto una morte temporale che non
meritava , cioè la «Morte del Corpo», seguita dalla «Resurrezione» , per liberare gli uomini da una «Morte Eterna», cioè dalla «Dannazione» che essi meritavano.
In questo modo, Cristo muore troppo poco: muore una morte temporale per «riscattare
una pena e una morte eterne».
L' uomo
pecca, ed e' condannato alla «Morte
Eterna»: fin qui la giustizia divina e' soddisfatta. Ma Dio «Ama l' uomo» e non vuole che egli sia «Dannato». Tuttavia Dio non può nemmeno abdicare
alla propria giustizia: affinché l' uomo sia salvo, bisogna che qualcun altro,
un amico dell'uomo, patisca la pena dovuta. Il «Figlio
di Dio» dice al Padre: Io sono pronto a patire quella pena. Ma quella pena e' la
«Morte e la Dannazione Eterna».
E vero
che, per salvare l'uomo, Cristo non può decidere di diventare
lui l' «Eterno Dannato»; ma rifiutando di dannarsi eternamente egli non
restituisce tutto al derubato, perpetua la rapina e distrugge la Giustizia Divina.
La quale esige che il debito sia pagato per intero e che, se la pena dell' uomo
e' la «Morte Eterna», l'amico dell'uomo abbia a patire questa pena, e non
quella pena inferiore che e' la «Morte del corpo», per giunta seguita dalla sua
«Resurrezione». Per salvare l' uomo Dio deve sacrificare la propria Giustizia,
giacché per salvare la Giustizia di Dio occorrerebbe che il «Figlio di Dio» fosse
«Eternamente Dannato».
Tommaso d'Aquino
discute questa obiezione : Se nessun uomo può caricare su di sé i peccati del
mondo e salvare l' umanità , allora nemmeno la morte di Cristo e' in grado di
farlo, perché Cristo e' morto in quanto «uomo» e non in quanto «Dio».
E Tommaso risponde: Sebbene sia
vero che Cristo muore soltanto come «uomo», tuttavia la sua morte e' resa
preziosa dalla dignità di chi la patisce, che e' il «Figlio di Dio» (op. cit.,
quarto, 55). Ma questa risposta e' insufficiente, perché se nessun uomo può
essere prezioso come quell'uomo che e' Cristo, allora, per questa distanza incolmabile
tra Cristo e gli altri uomini, Cristo non e' «Vero uomo», come invece il
pensiero cristiano ritiene. E in effetti nessun «Vero uomo» si trova, come
invece Cristo si trova, ad essere insieme «Vero Dio».
Se dunque si volesse usare quella risposta di Tommaso per
risolvere la difficoltà che più sopra abbiamo prospettato, si fallirebbe il
bersaglio. Se cioè si volesse dire che Cristo, morendo una «Morte temporale» e
non quella «Eterna», muore abbastanza, perché la sua «Morte temporale» e' più
preziosa di quella di ogni altro uomo e quindi compensa la mancata «Morte Eterna»
di Cristo, si perverrebbe daccapo a un Cristo che, nonostante la sua intenzione
di essere «Vero uomo», non riesce ad esserlo.
Non c' e' bisogno di uscire dalla logica del Cristianesimo
per scorgere che in esso non ci si libera dall'assurdo di un «uomo» (ossia di un
non Dio) che e' insieme Dio. E non e' il caso di affermare che si tratta di un «Mistero».
Misteri sono le cose irraggiungibili
dalla «Ragione umana», che tuttavia non si presentano ad essa come
impossibili e contraddittorie (Neque impossibilia, neque incongrua, dice
Tommaso). Da quanto stiamo dicendo appare invece che Cristo, il Dio uomo,
proprio perché si presenta come una delle cose impossibili e contraddittorie,
non riesce ad essere un «Mistero».
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