Quando crescono la
Violenza e il Dolore, cresce anche il bisogno di sapere che ne è della «Felicità».
«Se potessi avere tutto quel che desidero, ecco, allora sì che sarei felice!».
Questo il pensiero che, di primo acchito, per lo più, ci passa per la testa
quando ci chiediamo che cosa sia la «Felicità». Ma subito le cose si
complicano. Sarei felice se sapessi che dopo, presto o tardi, non lo sarò più e
questa conoscenza invadesse l'anima? Certo, meglio che venga tardi la fine della
«Felicità».
Sembra che i giovani
siano più felici perché per loro quella fine verrà più tardi. Però diciamo
anche che sono spensierati; e ogni spensieratezza è rosa dal tarlo dell' «Angoscia».
Ma supponiamo pure che tutte le nostre inclinazioni e tutti i nostri desideri
siano soddisfatti e che la soddisfazione non abbia limiti; supponiamo cioè che
si avveri la definizione kantiana di «Felicità»: «La Felicità è la
soddisfazione di tutte le nostre inclinazioni, tanto in estensione, che in
intensità, che in propensione, cioè in durata».
Si fa subito innanzi una difficoltà ancora più
aggrovigliata: quel che desidero e, ottenuto, mi rende felice, rende spesso
infelici tanti altri. Spesso non è nemmeno necessario ottenerlo, per renderli
infelici: basta desiderarlo. E si può essere un'isola felice attorniata da un
mare di «Infelicità»? Forse si potrebbe ottenere che questo mare sprofondasse
nell'oblio e nel nulla. Ma come potrebbe questa infinita e atroce
spensieratezza essere immune dal tarlo altrettanto infinito del dubbio che quel
mare non solo riappaia, ma risucchi l' isola felice? Guardata dall'esterno, l'isola
appare abitata da un illuso.
La Religione,
non solo quella cristiana e islamica, promette nell'aldilà il totale
appagamento dei desideri e delle inclinazioni a chi su questa terra avrà saputo
desiderare ciò che non richiede l' «Infelicità» altrui. Chiama «Paradiso»
questo appagamento, dove non ottenere ciò che rende gli altri infelici non ci
renderà infelici ma aumenterà la nostra «Felicità». La «Felicità» non è di
questo mondo, si dice, ma può essere dell'altro mondo, sia pure paradisiaco?
Certo, anche oggi si muore, in vari modi e variamente giudicati, per guadagnare
la «Felicità del Paradiso». Anche i terroristi dell' integralismo islamico muoiono
per questo. Ma è ponderato il passo che si compie? Supponiamo di esserci, in «Paradiso».
La «Felicità» trabocca perché
siamo al cospetto di Dio, che è appunto la realtà che soddisfa in eterno ogni
nostra aspirazione. Il «Senso» più profondo della definizione kantiana della «Felicità»
è finalmente avverato. Eppure, perché mai questa suprema esperienza di
beatitudine eterna non può essere, ancora una volta, attraversata dal dubbio?
Nella prima Lettera ai Corinti,
l' Apostolo Paolo scrive che «Ora noi vediamo per mezzo di uno specchio, in Enigma,
allora vedremo faccia a faccia». Allora, cioè in «Paradiso». Che «Faccia a Faccia»
occorre, dunque, affinché quei pensieri non trasformino il «Paradiso» in un Inferno?
Ora non vediamo «Faccia a Faccia» perché abitiamo l' «Enigma», cioè qualcosa
che, stando alle nostre spalle, appare in uno specchio. Nemmeno per l' Apostolo
la «Fede» dissolve l' «Enigma» e lo specchio; nemmeno per lui la «Fede» è uno
stare «Faccia a Faccia». Ma, diciamo, anche il «Faccia a Faccia» è soltanto una
«Fede», se quello che si mostra allo sguardo non è il volto della «Verità». La
«Verità»! Abbiamo pronunciato la parola più importante. Perché l' Amore è
«Perfidia» se non è, in verità, «Amore»; e la Santità è «Empietà» se non è, in verità,
Santità; e dunque la «Felicità» è «Angoscia», se non è, in verità, «Felicità».
La «Felicità» di cui parla la Fede,
o la Scienza, o l' Arte, non è la vera «Felicità», perché né la Fede né la
Scienza né l' Arte (Stendhal ogni mattina si metteva alla «caccia della Felicità»,
come Mozart) si sono mai interrogate sul «Senso» essenziale della «Verità» e sul
significato di ciò che è il «Senso» essenziale. Da sempre, questa interrogazione
è stata il compito della Filosofia , perché soltanto la Filosofia può prendersi
cura della «Verità».
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