All'inizio, lo
scopo della festa e del culto , e dunque di tutto ciò che e' loro unito e che
chiamiamo «Arte», e' la salvezza che il divino, nella sua sacralità, può dare.
Rivolgendosi al sacro l'uomo vuole salvarsi dal dolore, dalla morte,
dall'angoscia. Poi capisce che certi ingredienti, come quelli artistici, non
sono essenziali alla salvezza.
Ciò
che salva, dice Gesù, e' la Fede , non l'Arte. Se la salvezza sta nel
divino, l'Arte e' un mezzo sostituibile, la Fede no. Nell'età moderna si fa
invece strada la convinzione che se c'e' una salvezza per l'uomo, sia pure
precaria, essa non proviene dal divino e dal sacro; e che l'Arte può candidarsi
come mezzo insostituibile per salvare l'uomo, o una elite. (L'altro candidato,
vincente, e' la Tecnica).
La Fede
non muove più le montagne. Al culmine di questo atteggiamento, il principio
dell' "Arte per l'Arte", dove l'Arte non solo e' il mezzo
insostituibile, ma e' la stessa dimensione, il «Senso» stesso della salvezza.
C'e' dunque un’ «Arte» che e'
sacra perché ha come scopo la salvezza che il sacro può dare , un'Arte che
quindi deve avere il sacro come contenuto; e c'e' un' «Arte» che ha come scopo
una salvezza estranea al sacro, e che non e' sacra nemmeno quando il suo
contenuto e' il sacro. O e' sacra, ma inessenziale alla salvezza, e alla fine
sostituibile; o e' essenziale e insostituibile per la salvezza, ma non e' sacra
, e sostituibile e' il sacro che essa ha eventualmente come contenuto. Grosso
modo, la prima e' l'Arte antica, la seconda e' l’Arte moderna.
Quando si sostiene che anche l'Arte
astratta e informale del nostro tempo può essere sacra se in qualche modo
esprime il rapporto dell'uomo a Dio, si dovrebbe tener presente che ciò da cui
l'Arte astratta astrae, e la forma che l'Arte informale distrugge, non sono
altro che quell'Ordinamento stabile e quella Legge inviolabile del mondo e
dell'uomo, che sono stati portati alla luce dalla tradizione occidentale, e che
da ultimo sono riportabili al sacro e a Dio.
Nell'astrattismo e nell'informalismo, come nell'atonalismo
musicale diventa estremo l'atteggiamento che rifiuta la salvezza sacra per la
salvezza artistica e che quindi assume l'Arte come strumento insostituibile per
la produzione della salvezza. Anche in questo caso, si tenta di aggirare
l'ostacolo, dicendo che lo scopo dell'Arte può essere non l'una o l'altra, ma
la sintesi di quelle due forme di salvezza.
Si fa un discorso analogo, in campo economico, quando si
afferma che lo scopo della produzione capitalistica può essere, insieme, il
Profitto e la Solidarietà. Ma e' inevitabile che ognuna delle due forme della
sintesi limiti e mortifichi l'altra, che avrebbe più vita e respiro se fosse
sola.
Proporsi come scopo una
sintesi di scopi e' come avere «due padroni». Ma se uno dei due e' Dio, l'altro,
e' ancora Gesù a ricordarlo, e' «Mammona». Il Cristianesimo non ha
forse mostrato un gran fiuto, nella sua storia millenaria, a percepire
nell'Arte una grande nemica? Giacché era inevitabile che l'Arte, quanto più
andava avvertendo la propria inessenzialità alla salvezza sacra, reagisse, e
vedesse essa, nel sacro, qualcosa di inessenziale alla salvezza. E si servisse
del sacro, come il sacro si era servito di lei.
Nessun commento:
Posta un commento