Paolo era approdato a Corinto attorno al 51, durante il suo secondo
viaggio missionario, e vi era rimasto a lungo con varie vicende. La città era
un importante centro commerciale, dove si incrociavano esperienze culturali,
sociali e religiose differenti, ma in essa prosperavano anche la corruzione e
la degenerazione morale. La stessa comunità cristiana aveva probabilmente
respirato quest’atmosfera e ben presto si era rivelata divisa, segnata da crisi
etiche, da problemi teologici e pastorali. Paolo apprende notizie poco
confortanti da alcuni inviati di Corinto, mentre si trova a Efeso. Siamo forse
attorno all’anno 55.
Decide, allora, di scrivere una lunga lettera che affronti puntigliosamente le questioni più scottanti
a lui segnalate. Si ha, così, la possibilità di ricostruire un ritratto di
quella Chiesa e del suo stato spirituale. Proprio per il riferimento specifico
a una situazione concreta, certe affermazioni di Paolo possono risultare aspre e
parziali: non siamo, infatti, in presenza di una riflessione teologica
generale, bensì leggiamo una serie di indicazioni pastorali dirette e legate a
interrogativi circoscritti. Tuttavia lo scritto offre molti spunti importanti
per la vita e la fede di tutta la Chiesa e rivela l’anima pastorale
dell’apostolo.
Egli attacca con veemenza le divisioni che stanno frantumando la Chiesa e le raccorda a un concetto
errato di sapienza: quella del cristiano è solo la sapienza della croce. Viene
poi affrontata la questione sessuale che travagliava la comunità, immersa in un
ambito particolarmente corrotto: si combattono le tendenze eccessivamente
rigoriste e quelle troppo permissive, si condanna un caso di incesto, si offre
una riflessione molto specifica sul matrimonio e sul suo significato, ma anche
si esalta la verginità consacrata a Dio e ai fratelli. Si passa poi al tema
particolare della partecipazione dei cristiani ai sacrifici pagani con i loro
familiari non cristiani, cercando di definire i confini leciti e quelli da
evitare.
L’attenzione alla vita liturgica della Chiesa e alle sue possibili degenerazioni si
allarga in una splendida pagina sulla struttura interiore profonda della Chiesa
stessa, concepita come corpo di Cristo, molteplice nelle sue membra e qualità
(i “carismi”), ma unita dall’amore (“agape”). La lettera è chiusa, oltre che da
una serie di notizie finali, da una grandiosa riflessione sul mistero pasquale
di Cristo e sulla nostra partecipazione ad esso attraverso la risurrezione,
nella quale la morte sarà definitivamente vinta e Dio stesso sarà «tutto in tutti» (15,28).
Nota Finale
La lettera, inviata da Efeso verso la Pasqua del 57 d.C., nasce dalla necessità di rispondere ad
alcune questioni morali e religiose portate a conoscenza di Paolo. Per capirla occorre
ricordare che la giovane comunità cristiana di Corinto vive in una metropoli di
600.000 abitanti, con profondi squilibri sociali, una varietà di culture e di
religioni, un impressionante permissivismo morale. Anche la Chiesa ne subisce i
contraccolpi: divisioni interne, ripensamento in chiave ideologica della fede,
confusione etica in campo sessuale e matrimoniale, incertezza nei rapporti con
i pagani. A ogni problema Paolo dà una risposta precisa, riconducendo tutto ad
alcune direttrici di fondo: Il Cristianesimo non è una filosofia, ma una fede
basata sull’annuncio di Cristo crocifisso e risorto; la Chiesa vive dello
Spirito di Cristo, che ne fa l’unità e la varietà; la sua morale deriva dalla
logica dell’Eucarestia e dalla carità. Chi legge la lettera ai Corinzi ha
davanti agli occhi una radiografia della vita reale di una Chiesa dei tempi
apostolici.
Nessun commento:
Posta un commento