sabato 2 febbraio 2019

PRIMA LETTERA AI CORINZI



Paolo era approdato a Corinto attorno al 51, durante il suo secondo viaggio missionario, e vi era rimasto a lungo con varie vicende. La città era un importante centro commerciale, dove si incrociavano esperienze culturali, sociali e religiose differenti, ma in essa prosperavano anche la corruzione e la degenerazione morale. La stessa comunità cristiana aveva probabilmente respirato quest’atmosfera e ben presto si era rivelata divisa, segnata da crisi etiche, da problemi teologici e pastorali. Paolo apprende notizie poco confortanti da alcuni inviati di Corinto, mentre si trova a Efeso. Siamo forse attorno all’anno 55.

Decide, allora, di scrivere una lunga lettera che affronti puntigliosamente le questioni più scottanti a lui segnalate. Si ha, così, la possibilità di ricostruire un ritratto di quella Chiesa e del suo stato spirituale. Proprio per il riferimento specifico a una situazione concreta, certe affermazioni di Paolo possono risultare aspre e parziali: non siamo, infatti, in presenza di una riflessione teologica generale, bensì leggiamo una serie di indicazioni pastorali dirette e legate a interrogativi circoscritti. Tuttavia lo scritto offre molti spunti importanti per la vita e la fede di tutta la Chiesa e rivela l’anima pastorale dell’apostolo.

Egli attacca con veemenza le divisioni che stanno frantumando la Chiesa e le raccorda a un concetto errato di sapienza: quella del cristiano è solo la sapienza della croce. Viene poi affrontata la questione sessuale che travagliava la comunità, immersa in un ambito particolarmente corrotto: si combattono le tendenze eccessivamente rigoriste e quelle troppo permissive, si condanna un caso di incesto, si offre una riflessione molto specifica sul matrimonio e sul suo significato, ma anche si esalta la verginità consacrata a Dio e ai fratelli. Si passa poi al tema particolare della partecipazione dei cristiani ai sacrifici pagani con i loro familiari non cristiani, cercando di definire i confini leciti e quelli da evitare.

L’attenzione alla vita liturgica della Chiesa e alle sue possibili degenerazioni si allarga in una splendida pagina sulla struttura interiore profonda della Chiesa stessa, concepita come corpo di Cristo, molteplice nelle sue membra e qualità (i “carismi”), ma unita dall’amore (“agape”). La lettera è chiusa, oltre che da una serie di notizie finali, da una grandiosa riflessione sul mistero pasquale di Cristo e sulla nostra partecipazione ad esso attraverso la risurrezione, nella quale la morte sarà definitivamente vinta e Dio stesso sarà «tutto in tutti» (15,28).

Nota Finale

La lettera, inviata da Efeso verso la Pasqua del 57 d.C., nasce dalla necessità di rispondere ad alcune questioni morali e religiose portate a conoscenza di Paolo. Per capirla occorre ricordare che la giovane comunità cristiana di Corinto vive in una metropoli di 600.000 abitanti, con profondi squilibri sociali, una varietà di culture e di religioni, un impressionante permissivismo morale. Anche la Chiesa ne subisce i contraccolpi: divisioni interne, ripensamento in chiave ideologica della fede, confusione etica in campo sessuale e matrimoniale, incertezza nei rapporti con i pagani. A ogni problema Paolo dà una risposta precisa, riconducendo tutto ad alcune direttrici di fondo: Il Cristianesimo non è una filosofia, ma una fede basata sull’annuncio di Cristo crocifisso e risorto; la Chiesa vive dello Spirito di Cristo, che ne fa l’unità e la varietà; la sua morale deriva dalla logica dell’Eucarestia e dalla carità. Chi legge la lettera ai Corinzi ha davanti agli occhi una radiografia della vita reale di una Chiesa dei tempi apostolici.



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