sabato 9 febbraio 2019

SECONDA LETTERA AI CORINZI



I rapporti di Paolo con la Chiesa di Corinto furono piuttosto turbolenti, e questa nuova lettera ne è la testimonianza esplicita. Composto forse sullo scorcio del 57, al termine del terzo viaggio missionario dell’apostolo, questo scritto fa anche riferimento a un’altra lettera che Paolo avrebbe composto fra «molte lacrime» e che, secondo alcuni studiosi, sarebbe confluita nella seconda lettera ai Corinzi in una successiva redazione del testo. Appaiono nitidamente in queste pagine alcuni avversari dell’apostolo, che sembrano essere cristiani di spicco e che Paolo bolla aspramente per il loro comportamento, la loro dottrina e la loro arroganza, definendoli con ironia «superapostoli» (12,11).

Difficile è identificare con esattezza quale sia il loro profilo: certo è che essi rappresentano movimenti che si oppongono all’apostolo, ne disprezzano la persona «debole» e «la parola dimessa» (10,10) e mettono in crisi l’autentica dottrina e l’unità della Chiesa. Il testo della lettera paolina ha innanzitutto lo scopo di ricostruire nei primi sette capitoli la figura del vero apostolo, il suo impegno e la sua missione, incarnati appunto da Paolo stesso. Si tratta di pagine di grande forza, con immagini vivissime come quella della lettera «scritta non con inchiostro…, ma sulle tavole che sono i… cuori di carne» (3,3), con l’esaltazione del ministero apostolico e della sua funzione di salvezza, ma anche di giudizio. Curioso è, poi, un brano (6,14-7,1) che sembra composto sulla base dei temi, dei simboli e dello stile degli scritti ritrovati (nel 1947) nelle grotte di Qumran, presso il Mar Morto, espressione di una comunità giudaica dall’identità originale.

Nei capitoli 8-9 si ha quasi un piccolo trattato sull’elemosina cristiana: esso prende spunto dalla colletta che le Chiese avevano organizzato per aiutare quella di Gerusalemme in gravi difficoltà economiche, colletta che Paolo sostiene con grande calore. Infine, la lettera ritorna sul tema dell’apostolato, ma lo fa con un lungo brano autobiografico dal tono piuttosto concitato, distribuito nei capitoli 10-13. Si incontrano in queste pagine notizie sulla vita tormentata di Paolo, ma anche si ribadisce la sua fiducia inconcussa in Cristo e nella forza che egli offre: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (12,10).

In questa confessione autobiografica, opposta ai falsi maestri come esempio di vita apostolica, si ha anche la menzione di «una spina nella carne» di Paolo, una prova dura (una malattia?), che però non gli impedisce di «vantarsi nel Signore» che gli dà grandi doni e salvezza (10,17). Con l’apostolo appare anche la Chiesa che è presentata, con una suggestiva immagine nuziale, come «vergine casta» offerta a Cristo per un amore totale, unico e perfetto (11,2).  

Nota Finale

Paolo scrive questa seconda lettera ai Cristiani di Corinto verso la fine del 57 d.C., quando il discepolo Tito lo raggiunge in Macedonia e gli porta buone notizie su quella comunità che ha fatto versare all’apostolo tante lacrime. È un documento di eccezionale valore anche dal punto di vista storico-biografico, in quanto ci fornisce un sincero ritratto dell’animo paolino. Essa non è di facile lettura, perché Paolo non sempre ha la possibilità di ordinare in modo rigorosamente logico i suoi pensieri e soprattutto i suoi sentimenti. Per di più, in essa, egli difende con toni piuttosto polemici il suo buon diritto di predicare il vangelo, scrivendo pagine bellissime sulla grandezza del ministero apostolico. La lettera tratta anche la questione della raccolta di denaro in favore della Chiesa-madre di Gerusalemme. Questo permette di far crescere la coscienza dell’unità e sviluppare il tema della Chiesa come unico corpo di Cristo.



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