I rapporti di Paolo con la Chiesa di Corinto furono piuttosto turbolenti, e questa
nuova lettera ne è la testimonianza esplicita. Composto forse sullo scorcio del
57, al termine del terzo viaggio missionario dell’apostolo, questo scritto fa
anche riferimento a un’altra lettera che Paolo avrebbe composto fra «molte
lacrime» e che, secondo alcuni studiosi, sarebbe confluita nella seconda
lettera ai Corinzi in una successiva redazione del testo. Appaiono nitidamente
in queste pagine alcuni avversari dell’apostolo, che sembrano essere cristiani
di spicco e che Paolo bolla aspramente per il loro comportamento, la loro
dottrina e la loro arroganza, definendoli con ironia «superapostoli» (12,11).
Difficile è identificare con esattezza quale sia il loro profilo: certo è che
essi rappresentano movimenti che si oppongono all’apostolo, ne disprezzano la
persona «debole» e «la parola dimessa» (10,10) e mettono in
crisi l’autentica dottrina e l’unità della Chiesa. Il testo della lettera
paolina ha innanzitutto lo scopo di ricostruire nei primi sette capitoli la figura
del vero apostolo, il suo impegno e la sua missione, incarnati appunto da Paolo
stesso. Si tratta di pagine di grande forza, con immagini vivissime come quella
della lettera «scritta non con
inchiostro…, ma sulle tavole che sono i… cuori di carne» (3,3), con
l’esaltazione del ministero apostolico e della sua funzione di salvezza, ma
anche di giudizio. Curioso è, poi, un brano (6,14-7,1) che sembra composto
sulla base dei temi, dei simboli e dello stile degli scritti ritrovati (nel
1947) nelle grotte di Qumran, presso il Mar Morto, espressione di una comunità
giudaica dall’identità originale.
Nei capitoli 8-9 si ha quasi un
piccolo trattato sull’elemosina cristiana: esso prende spunto dalla colletta
che le Chiese avevano organizzato per aiutare quella di Gerusalemme in gravi
difficoltà economiche, colletta che Paolo sostiene con grande calore. Infine,
la lettera ritorna sul tema dell’apostolato, ma lo fa con un lungo brano
autobiografico dal tono piuttosto concitato, distribuito nei capitoli 10-13. Si
incontrano in queste pagine notizie sulla vita tormentata di Paolo, ma anche si
ribadisce la sua fiducia inconcussa in Cristo e nella forza che egli offre: «Quando sono debole, è allora che sono forte»
(12,10).
In questa confessione autobiografica, opposta ai falsi maestri come esempio di vita apostolica,
si ha anche la menzione di «una spina
nella carne» di Paolo, una prova dura (una malattia?), che però non gli
impedisce di «vantarsi nel Signore»
che gli dà grandi doni e salvezza (10,17). Con l’apostolo appare anche la
Chiesa che è presentata, con una suggestiva immagine nuziale, come «vergine casta» offerta a Cristo per un
amore totale, unico e perfetto (11,2).
Nota Finale
Paolo scrive questa seconda lettera ai Cristiani di Corinto verso la fine del 57 d.C., quando
il discepolo Tito lo raggiunge in Macedonia e gli porta buone notizie su quella
comunità che ha fatto versare all’apostolo tante lacrime. È un documento di
eccezionale valore anche dal punto di vista storico-biografico, in quanto ci
fornisce un sincero ritratto dell’animo paolino. Essa non è di facile lettura,
perché Paolo non sempre ha la possibilità di ordinare in modo rigorosamente
logico i suoi pensieri e soprattutto i suoi sentimenti. Per di più, in essa,
egli difende con toni piuttosto polemici il suo buon diritto di predicare il
vangelo, scrivendo pagine bellissime sulla grandezza del ministero apostolico.
La lettera tratta anche la questione della raccolta di denaro in favore della
Chiesa-madre di Gerusalemme. Questo permette di far crescere la coscienza
dell’unità e sviluppare il tema della Chiesa come unico corpo di Cristo.
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