A Roma la comunità cristiana si era già costituita, collegandosi inizialmente alla forte presenza
giudaica che comprendeva 50000 membri e ben 13 sinagoghe. Paolo, forse
nell’inverno 57-58, indirizza a questa Chiesa prestigiosa una lettera che è
anche il suo capolavoro teologico e che sarà un punto riferimento capitale
nella storia della cristianità, come affermava un commentatore, Paul Althaus: «Le grandi ore della storia della Chiesa sono
state le grandi ore della lettera ai Romani». Basti solo pensare al rilievo
che questo scritto paolino ebbe nella riforma di Lutero.
Abbozzata nei suoi termini fondamentali già nella lettera ai Galati, che
cronologicamente la precede, l’opera si distende in una riflessione molto
intensa e impegnativa che occupa i primi 11 capitoli, mentre il resto della
lettera (capitoli 12-16) è di taglio più pastorale, morale e concreto
(suggestiva, ad esempio, è nel capitolo 16 la lista degli amici, collaboratori
e collaboratrici che vengono salutati e che costituivano le comunità
cristiane). La tesi dominante della lettera è formulata attraverso una frase
del profeta Abacuc citata in 1,17: «Il
giusto vivrà mediante la fede». Due sono le componenti della citazione che
verranno sviluppate.
Innanzitutto, la cosiddetta
«giustificazione per la fede», presentata e approfondita nei capitoli 1-5, a
cui seguirà la «vita secondo lo Spirito», delineata nei capitoli 6-8. L’uomo è
sulle sabbie mobili della «carne», cioè della sua radicale debolezza
peccatrice. Vano è il suo tentativo di uscirne attraverso le opere della «legge»,
cioè con le sue sole forze. È necessario che Dio dall’alto stenda la mano della
sua «grazia» e che l’uomo l’afferri con la «fede»: solo così egli sarà
«giustificato», cioè diverrà giusto e salvato. Questa vicenda si attua
attraverso l’esperienza battesimale, che coinvolge tutta la vita della persona,
unendola a quella di Cristo.
Nasce, così, la “nuova
creatura”, animata dallo Spirito Santo, figlia adottiva di Dio, partecipe di
una redenzione che coinvolge tutto l’essere e che è cantata da Paolo nella
stupenda pagina del capitolo 8. Su questo, che è il nucleo teologico centrale
della lettera, si innestano altri temi rilevanti come quelli del rapporto tra
cristianesimo e giudaismo (capitolo 9-11), un argomento particolarmente caro a
Paolo, del rapporto dei cristiani tra loro (capitolo 12), del rapporto con il
potere politico imperiale (13,1-7), del rapporto con i deboli nella fede
(capitolo 14). L’apostolo chiude il suo scritto presentando i suoi progetti
missionari, che comprendono anche un viaggio in Spagna, passando per Roma
(15,28).
Nota Finale
Con questo scritto si
apre, nel Nuovo Testamento, la raccolta delle lettere di Paolo, che sono
ordinate in base alla loro importanza e alla dignità della Chiesa alla quale
sono indirizzate e non secondo la data di composizione. Per questo la lettera
ai Romani occupa il primo posto, anche se scritta verso la primavera del 58
d.C., dopo le lettere ai Tessalonicesi, ai Corinzi e ai Galati. Da Corinto
viene portata a Roma dalla diaconessa Febe, quasi credenziale per la comunità
cristiana di Roma, non fondata da Paolo, ma che l’apostolo intende visitare in
occasione di un progettato viaggio in Spagna.
Dopo l’indirizzo iniziale, Paolo espone un “compendio del suo vangelo”: prima in una parte dottrinale dove
dimostra che la salvezza proviene solo dalla giustizia di Dio e dalla fede in
Lui, che ama senza pentimenti tutti, siano essi pagani o Ebrei; e poi in una
seconda parte esortativa dove illustra le conseguenze pratiche. La lettera
costituisce uno dei vertici del pensiero paolino e conserva un’importanza
decisiva per la vita della Chiesa e per l’ecumenismo. È stato scritto
giustamente che “le grandi ore della
storia della religione cristiana sono anche le ore della lettera ai Romani”.
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