Nato a Tekoa, un villaggio nel
deserto di Giuda a sud di Gerusalemme, Amos era un piccolo possidente agricolo
che allevava bestiame (1,1) e coltivava sicomori (7,14), un albero tropicale
dai frutti dolci e dalla scorza simile al sughero. Al suo lavoro fu strappato
dalla chiamata divina, che lo lanciò nel regno settentrionale d’Israele,
nell’opulenta città di Samaria. Là egli iniziò una predicazione tesa alla
denuncia delle ingiustizie perpetrate dalle alte classi nei confronti dei
poveri e degli umili e dal forte richiamo alle esigenze del Dio dell’alleanza.
Le sue parole,
spesso intrise di sdegno e colorate di immagini desunte dal mondo agricolo da
cui il profeta proveniva, sono state raccolte in un libro (forse il primo dei
testi profetici, essendo vissuto Amos a metà dell’VIII secolo a.C., sotto il regno di Geroboamo II). La divisione di questa
raccolta di oracoli veementi è scandita da alcuni verbi. Nelle sette scene dei
capitoli 1-2, ove sono giudicate le nazioni, si ha il verbo «dire», presente in
quella che gli studiosi chiamano “la formula dell’inviato” divino: «Così dice
il Signore…».
Nei capitoli 3-6 i
discorsi sono, invece, introdotti da tre «Ascoltate!» (3,1; 4,1; 5,1), che
spesso s’intrecciano con i «Guai!» del giudizio divino scagliati contro i
ricchi proprietari terrieri (5,7), destinati al «giorno del Signore», in cui
Dio interverrà contro l’ingiustizia (5,18) e contro gli abusi dei politici
(6,1). La terza parte (capitoli 7-9) è occupata da cinque visioni, introdotte
dalla formula: «Ecco ciò che mi fece vedere il Signore», o dal verbo «vedere»
(7,1.4.7; 8,1; 9,1).
Il profeta offre una serie di denunce precise e
documentate contro le violenze, le volgarità, le ingiustizie perpetrate dai
ricchi di Samaria, attirandosi anche gli attacchi del sacerdote Amasia, capo
del clero del santuario del re a Betel. Si rivela, così, anche l’annunzio –
caro a tutti i profeti – di un culto non ipocrita ed esteriore, ma radicato
nella vita. Altrimenti Dio rigetterà santuari, canti, feste, sacrifici (4,4-5;
5,4-6; 5,21-24), perché per lui fondamentali sono la giustizia, la fedeltà,
l’onestà. Il libro di Amos (“il Signore porta” è il significato del suo nome,
come di quello del suo avversario Amasia) finisce con una pagina di speranza
messianica, forse posteriore, che si apre a un orizzonte di salvezza e di vita
(9,11-15).
Nota Finale
Da un piccolo villaggio
del regno meridionale di Giuda, dove fa il pastore e il coltivatore di sicomori, Amos viene inviato da
Dio a predicare nel regno settentrionale di Israele, sotto Geroboamo II (VIII sec. a.C.). In questi anni, Israele si
trova all’apice della potenza e del benessere economico, ma è anche afflitto da
profonde ingiustizie sociali. Scandalizzato dai culti pagani, dall’oppressione
dei poveri e dall’immoralità, Amos inveisce aspramente contro gli Israeliti ed
entra ben presto in conflitto con le autorità, che lo espellono dal santuario
regale di Betel. In ordine di tempo, Amos è il primo profeta di cui ci siano
giunti gli oracoli scritti e non soltanto alcune note biografiche come nel caso
di Elia ed Eliseo. La sua profezia è carica di simboli desunti dal mondo
campestre e di uno sdegno veemente contro l’ingiustizia. Il susseguirsi di dure
minacce si conclude però con una nota di speranza: la promessa che Israele
risorgerà e tornerà a essere fertile e ricco.
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