sabato 6 ottobre 2018

AMOS



Nato a Tekoa, un villaggio nel deserto di Giuda a sud di Gerusalemme, Amos era un piccolo possidente agricolo che allevava bestiame (1,1) e coltivava sicomori (7,14), un albero tropicale dai frutti dolci e dalla scorza simile al sughero. Al suo lavoro fu strappato dalla chiamata divina, che lo lanciò nel regno settentrionale d’Israele, nell’opulenta città di Samaria. Là egli iniziò una predicazione tesa alla denuncia delle ingiustizie perpetrate dalle alte classi nei confronti dei poveri e degli umili e dal forte richiamo alle esigenze del Dio dell’alleanza.

Le sue parole, spesso intrise di sdegno e colorate di immagini desunte dal mondo agricolo da cui il profeta proveniva, sono state raccolte in un libro (forse il primo dei testi profetici, essendo vissuto Amos a metà dell’VIII secolo a.C., sotto il regno di Geroboamo II). La divisione di questa raccolta di oracoli veementi è scandita da alcuni verbi. Nelle sette scene dei capitoli 1-2, ove sono giudicate le nazioni, si ha il verbo «dire», presente in quella che gli studiosi chiamano “la formula dell’inviato” divino: «Così dice il Signore…».

Nei capitoli 3-6 i discorsi sono, invece, introdotti da tre «Ascoltate!» (3,1; 4,1; 5,1), che spesso s’intrecciano con i «Guai!» del giudizio divino scagliati contro i ricchi proprietari terrieri (5,7), destinati al «giorno del Signore», in cui Dio interverrà contro l’ingiustizia (5,18) e contro gli abusi dei politici (6,1). La terza parte (capitoli 7-9) è occupata da cinque visioni, introdotte dalla formula: «Ecco ciò che mi fece vedere il Signore», o dal verbo «vedere» (7,1.4.7; 8,1; 9,1).

Il profeta offre una serie di denunce precise e documentate contro le violenze, le volgarità, le ingiustizie perpetrate dai ricchi di Samaria, attirandosi anche gli attacchi del sacerdote Amasia, capo del clero del santuario del re a Betel. Si rivela, così, anche l’annunzio – caro a tutti i profeti – di un culto non ipocrita ed esteriore, ma radicato nella vita. Altrimenti Dio rigetterà santuari, canti, feste, sacrifici (4,4-5; 5,4-6; 5,21-24), perché per lui fondamentali sono la giustizia, la fedeltà, l’onestà. Il libro di Amos (“il Signore porta” è il significato del suo nome, come di quello del suo avversario Amasia) finisce con una pagina di speranza messianica, forse posteriore, che si apre a un orizzonte di salvezza e di vita (9,11-15).

Nota Finale

Da un piccolo villaggio del regno meridionale di Giuda, dove fa il pastore e il coltivatore di sicomori, Amos viene inviato da Dio a predicare nel regno settentrionale di Israele, sotto Geroboamo II (VIII sec. a.C.). In questi anni, Israele si trova all’apice della potenza e del benessere economico, ma è anche afflitto da profonde ingiustizie sociali. Scandalizzato dai culti pagani, dall’oppressione dei poveri e dall’immoralità, Amos inveisce aspramente contro gli Israeliti ed entra ben presto in conflitto con le autorità, che lo espellono dal santuario regale di Betel. In ordine di tempo, Amos è il primo profeta di cui ci siano giunti gli oracoli scritti e non soltanto alcune note biografiche come nel caso di Elia ed Eliseo. La sua profezia è carica di simboli desunti dal mondo campestre e di uno sdegno veemente contro l’ingiustizia. Il susseguirsi di dure minacce si conclude però con una nota di speranza: la promessa che Israele risorgerà e tornerà a essere fertile e ricco.



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