domenica 20 maggio 2018

GIOBBE




Il libro di Giobbe è sicuramente uno dei capolavori poetici e spirituali non solo della Bibbia, ma anche della letteratura di tutti i tempi e di tutte le nazioni della terra. Composta dopo l’esilio babilonese, forse nel V-IV secolo a.C., in un linguaggio tutto costellato di simboli, l’opera rivela al suo interno strati successivi di formazione. L’autore principale ha probabilmente usato un’antica parabola in prosa che aveva per protagonista “uno dei figli d’Oriente”, cioè un personaggio giusto, non ebreo, del quale si narrava tutta una lunga serie di disgrazie umanamente inspiegabili, che suscitavano come reazione la sua fedeltà inconcussa e si concludevano con una grandiosa ricompensa divina finale.

Nella cornice di questo racconto, trasformato in prologo (capitoli 1-2) ed epilogo (42,7-17), uno scrittore ebreo ha sviluppato un poema mirabile che comprende sostanzialmente due atti. Il primo (capitoli 3-28) è un triplice e serrato dialogo tra Giobbe e tre suoi amici, Elifaz, Bildad e Zofar, che incarnano la teologia ufficiale di Israele. Essi cercano di offrire al grande sofferente le risposte codificate e scontate della tradizione, mentre Giobbe fa emergere in tutta la sua lacerazione il dramma del dolore dell’uomo e il mistero insondabile del silenzio di Dio.

Egli vuole che Dio stesso offra una risposta, e il secondo atto (capitoli 29-31 e 38-42) descrive il dialogo tra Giobbe e il Signore in pagine di suprema bellezza. Il libro si rivela come una ricerca del vero volto di Dio attraverso la strada aspra del dolore: «Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno visto» (42,5), esclama alla fine Giobbe. All’interno del corpo fondamentale dell’opera si sono inserite aggiunte successive (come l’apparizione di un quarto amico, Eliu, nell’ampia sezione dei capitoli 32-37) e si sono operati tagli e correzioni, soprattutto quando la protesta di Giobbe contro Dio si faceva violenta e quasi blasfema.

Il significato ultimo di questo capolavoro è da cercare nel desiderio di penetrare il mistero dell’uomo e il mistero di Dio, in particolare quando entrano in tensione. Ma molti significati ulteriori appaiono e scompaiono e sono variamente interpretati. Giustamente san Girolamo affermava che «interpretare Giobbe è come stringere tra le mani un’anguilla: più la premi, più ti sfugge di mano»

Nota Finale

Il mistero del dolore e di una equa retribuzione nella vita umana è il tema centrale del libro di Giobbe. Perché il giusto, il probo, l’innocente sono colpiti talvolta da grandi pene e afflizioni? Giobbe, un uomo buono che subisce gravi disgrazie, respinge la tesi tradizionale, esposta da amici che si recano a trovarlo, secondo cui la sofferenza rappresenta la punizione per i peccati commessi ed è strumento di correzione e purificazione per l’uomo. Egli è sicuro della propria innocenza, perciò non sa spiegarsi come mai sia stato colpito da tante calamità, dato che non può ammettere che Dio agisca ingiustamente. Dopo una serie di dialoghi tra Giobbe e i suoi amici, i quali rappresentano la teologia ufficiale, Dio appare in una misteriosa rivelazione e ricorda a Giobbe l’impossibilità dei mortali a comprendere le leggi che regolano l’universo.


Il libro non offre alcuna soluzione esplicita del problema trattato, ma dal suo contesto appare chiaro che ciò che nella nostra dimensione umana e razionale non può avere spazio e logica, può essere collocato e giustificato in un più ampio e totale progetto: quello divino. Del libro di Giobbe sono ignoti sia l’autore sia l’epoca di composizione, che gli studiosi moderni fanno risalire al V secolo a.C. L’opera è in assoluto uno dei capolavori della letteratura biblica per lo splendore delle immagini, la passione dei sentimenti, il rigore del discorso e dei suoi simboli, l’intensità della fede.











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