domenica 14 gennaio 2018

GENESI


Il primo libro della Bibbia è chiamato dagli ebrei con la sua prima parola ebraica «Bereshit», “In Principio”. Ed effettivamente esso è il “Principio” della Rivelazione divina nelle Scritture, è il “Principio” della «Torah» o Pentateuco o Legge, i primi cinque libri sacri, è il “Principio” di quella catena ininterrotta di eventi e di parola che è la storia della salvezza, è il “Principio” del dialogo tra Dio e L’uomo che avrà il suo vertice in un altro “Principio” parallelo a questo: «In Principio era il Verbo» del vangelo di Giovanni.

La Genesi è simile a un dittico le cui «due tavole» sono diverse per qualità ed estensione. La prima occupa i primi undici capitoli e ha per protagonista l’Uomo in quanto tale: in ebraico Ha-adam, «l’Adamo» (con l’articolo), cioè l’uomo di tutti i tempi, creato da Dio come vertice della sua opera e caduto nella miseria a causa del “Peccato” «Liberamente commesso». A questa tavola segnata dalla tragedia e dal giudizio subentra la seconda, più ampia ma dall’orizzonte più ristretto. Essa occupa i capitoli 12-50 della Genesi e ha per soggetto Abramo e i suoi discendenti; l’attenzione si fissa, quindi, sul popolo della benedizione, dell’elezione e della promessa, «Israele».

Si incontrano qui vaste narrazioni che hanno per attori principali Abramo, Isacco, Giacobbe e, alla fine, in una storia suggestiva a sé stante, Giuseppe, il figlio prediletto di Giacobbe, mentre attorno ad essi si stringe una folla di personaggi minori. Se nei capitoli 1-11 incombevano il “Peccato” umano e la “Maledizione” divina, nei capitoli 12-50 appare la "Benedizione". Se già nei primi capitoli Dio cercava di stabilire un’alleanza, cioè una relazione di intimità con l’uomo (capitoli 1-2,9), ora l’alleanza è solennemente sancita e ha il suo segno vivo nella promessa della “Terra” e della “Discendenza”. Sono queste le coordinate entro cui Dio ha scelto di rivelarsi: Lo Spazio (Terra) e la Storia (Discendenza) degli uomini.

Come ci si accorgerà nella lettura, il racconto della Genesi non è del tutto fluido e compatto come nell’opera di un solo autore. In esso, infatti, confluiscono “tradizioni” diverse antiche e più recenti. Si tratta di “fiumi” narrativi e teologici, trasmessi oralmente e a memoria, poi cristallizzati in uno scritto e infine elaborati in un libro unico. Gli studiosi, come abbiamo già visto, hanno a queste “tradizioni” attribuito nomi convenzionali, “Jahvista”, “Elohista”, “Sacerdotale” (vedi post gennaio 2018 ” Introduzione all’Antico testamento”).

Note Finali

La Genesi, il grande libro della creazione, dello splendore e delle miserie dell’uomo, ha per tema fondamentale l’alleanza tra Dio e il suo popolo eletto, manifestata nelle promesse fatte ad Abramo e rinnovate a Isacco e Giacobbe, i patriarchi di Israele; tema che sta alla base di tutto L’Antico Testamento e a cui fanno frequente riferimento anche gli autori del Nuovo Testamento. Per quanto il libro della Genesi taccia sul suo autore, per lungo tempo ne è stata attribuita la paternità a Mosè, ma quasi tutti gli studiosi moderni concordano ora sul fatto che, analogamente agli altri libri del Pentateuco, anche questo provenga da varie fonti e comprenda tradizioni diverse, alcune delle quali antichissime.

Delle due parti in cui si divide il libro, la prima riguarda la “preistoria” biblica (Adamo ed Eva, Caino e Abele, Noè e il diluvio, la torre di Babele) e costituisce una riflessione sulle radici stesse dell’uomo e sul peccato. La seconda, che tratta delle vicende dei patriarchi d’Israele, inizia con l’invito di Dio ad Abramo a lasciare la propria terra per quella che Dio stesso gli indicherà. Gli vengono promessi innumerevoli discendenti tra i quali spiccano Giacobbe, il cui secondo nome (Israele) sarà quello stesso del popolo eletto, e Giuseppe, le cui vicissitudini spiegano la successiva presenza degli israeliti in Egitto.  



   

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