Il primo libro della Bibbia è chiamato dagli ebrei con la sua prima parola ebraica «Bereshit», “In
Principio”. Ed effettivamente esso è il “Principio” della Rivelazione divina
nelle Scritture, è il “Principio” della «Torah» o Pentateuco o Legge, i primi
cinque libri sacri, è il “Principio” di quella catena ininterrotta di eventi e
di parola che è la storia della salvezza, è il “Principio” del dialogo tra Dio
e L’uomo che avrà il suo vertice in un altro “Principio” parallelo a questo:
«In Principio era il Verbo» del vangelo di Giovanni.
La Genesi è simile a un dittico le
cui «due tavole» sono diverse per qualità ed estensione. La prima occupa i
primi undici capitoli e ha per protagonista l’Uomo in quanto tale: in ebraico
Ha-adam, «l’Adamo» (con l’articolo), cioè l’uomo di tutti i tempi, creato da
Dio come vertice della sua opera e caduto nella miseria a causa del “Peccato”
«Liberamente commesso». A questa tavola segnata dalla tragedia e dal giudizio
subentra la seconda, più ampia ma dall’orizzonte più ristretto. Essa occupa i
capitoli 12-50 della Genesi e ha per soggetto Abramo e i suoi discendenti;
l’attenzione si fissa, quindi, sul popolo della benedizione, dell’elezione e
della promessa, «Israele».
Si incontrano qui vaste narrazioni che hanno per attori principali Abramo, Isacco, Giacobbe e,
alla fine, in una storia suggestiva a sé stante, Giuseppe, il figlio prediletto
di Giacobbe, mentre attorno ad essi si stringe una folla di personaggi minori.
Se nei capitoli 1-11 incombevano il “Peccato” umano e la “Maledizione” divina,
nei capitoli 12-50 appare la "Benedizione". Se già nei primi capitoli Dio cercava
di stabilire un’alleanza, cioè una relazione di intimità con l’uomo (capitoli
1-2,9), ora l’alleanza è solennemente sancita e ha il suo segno vivo nella
promessa della “Terra” e della “Discendenza”. Sono queste le coordinate entro
cui Dio ha scelto di rivelarsi: Lo Spazio (Terra) e la Storia (Discendenza)
degli uomini.
Come ci si accorgerà nella lettura, il racconto della Genesi non è del tutto fluido e compatto
come nell’opera di un solo autore. In esso, infatti, confluiscono “tradizioni”
diverse antiche e più recenti. Si tratta di “fiumi” narrativi e teologici,
trasmessi oralmente e a memoria, poi cristallizzati in uno scritto e infine
elaborati in un libro unico. Gli studiosi, come abbiamo già visto, hanno a
queste “tradizioni” attribuito nomi convenzionali, “Jahvista”, “Elohista”, “Sacerdotale”
(vedi post gennaio 2018 ” Introduzione
all’Antico testamento”).
Note Finali
La Genesi, il grande libro della
creazione, dello splendore e delle miserie dell’uomo, ha per tema fondamentale
l’alleanza tra Dio e il suo popolo eletto, manifestata nelle promesse fatte ad
Abramo e rinnovate a Isacco e Giacobbe, i patriarchi di Israele; tema che sta
alla base di tutto L’Antico Testamento e a cui fanno frequente riferimento
anche gli autori del Nuovo Testamento. Per quanto il libro della Genesi taccia
sul suo autore, per lungo tempo ne è stata attribuita la paternità a Mosè, ma
quasi tutti gli studiosi moderni concordano ora sul fatto che, analogamente
agli altri libri del Pentateuco, anche questo provenga da varie fonti e
comprenda tradizioni diverse, alcune delle quali antichissime.
Delle due parti in cui si divide il libro, la prima riguarda la “preistoria”
biblica (Adamo ed Eva, Caino e Abele, Noè e il diluvio, la torre di Babele) e
costituisce una riflessione sulle radici stesse dell’uomo e sul peccato. La
seconda, che tratta delle vicende dei patriarchi d’Israele, inizia con l’invito
di Dio ad Abramo a lasciare la propria terra per quella che Dio stesso gli
indicherà. Gli vengono promessi innumerevoli discendenti tra i quali spiccano
Giacobbe, il cui secondo nome (Israele) sarà quello stesso del popolo eletto, e
Giuseppe, le cui vicissitudini spiegano la successiva presenza degli israeliti
in Egitto.
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