«L'uomo non si deve accontentare di un Dio pensato perché così, quando il pensiero ci
abbandona, ci abbandona anche Dio» (Meister Eckhart).
“La pensée fait la grandeur de l'homme”: non c'è bisogno di tradurre questo che è uno dei Pensieri del grande filosofo francese Pascal. Il suo contemporaneo e altrettanto celebre Cartesio aveva coniato quel «Cogito, ergo sum» che abbiamo imparato a scuola e che univa intimamente essere e pensiero umano.
Ma molti
secoli prima, nella lontana India, tra le sentenze buddhiste del “Dhammapada”
si leggeva: «Tutto quello che siamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato:
è fondato sui nostri pensieri, è formato dai nostri pensieri». Lode, quindi, al
pensiero umano, che si inoltra nei meandri dell'essere, dell'esistere e del
mistero. C'è, tuttavia, un «ma» che proprio Pascal ha scritto subito dopo nei
suoi Pensieri esaltando, come è noto, le «ragioni del cuore» e concludendo che
«l'ultimo passo della ragione è riconoscere che ci sono infinite cose che la
sorpassano».
A questo punto entra in scena la fede, una conoscenza che segue un altro percorso parallelo a quello dell'amore. E qui vale la considerazione sopra citata sul Dio solo «pensato» che faceva Meister Eckhart, un geniale mistico e teologo domenicano tedesco contemporaneo di Dante. Nei suoi scritti egli spesso procedeva quasi sulla lama di un coltello, inoltrandosi nel mistero divino o in quello dell'essere e del nulla, lungo territori labili di frontiera.
Un Dio che alberga solo nel
ragionamento è insufficiente perché, se dovesse scricchiolare l'argomentazione
razionale, anch'egli si dissolverebbe. Esemplare l'itinerario di Giobbe che a
lungo s'interroga su Dio, ma alla fine è l'incontro a svelarlo: «Io ti conoscevo per sentito dire, ora i miei
occhi ti vedono» (Gb 42,5).
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