«Volere il meno possibile e conoscere il più possibile
è la massima che deve guidare la nostra vita. La Volontà è infatti l'elemento
assolutamente infimo e spregevole in noi: bisogna nasconderlo come si
nascondono i genitali, benché siano entrambi alla radice del nostro essere».
Comincia così il
"libro segreto" che il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer
(1788-1860) custodiva gelosamente come un vademecum strettamente personale e
che è stato tradotto in italiano col titolo "L'arte di conoscere se stessi" (Adelphi). In verità sono tante le pagine che meriterebbero una lettura e che
ci aiuterebbero a penetrare nel segreto intimo della vita ma anche a stabilire
un dialogo col mondo che ci avvolge, non senza una punta di realismo e persino
di pessimismo, per altro congenito in questo pensatore. Non vogliamo entrare
nel merito specifico della frase citata che si connette a un pensiero più
generale di Schopenhauer.
Ciò che ci
preme è sottolineare più semplicemente che l'esaltazione eccessiva della
volontà può essere pericolosa. Essa tante volte procede senza che si sia
approfondita la «conoscenza», creando così guasti irreparabili. Quante persone
vogliono senza sapere, rivelandosi in tal modo stupidi oltre che avventati e
prepotenti. Anzi, in molti casi reagiscono con veemenza perché il loro volere è
frustrato; eppure dovrebbe essere ovvio che «non può tutto la virtù che vuole»,
come diceva Dante (Purgatorio XXI, 105).
Per questo il filosofo, che pure riconosce
essere la volontà «alla radice del nostro essere», ci invita a quella dote così
scarsamente diffusa ai nostri giorni, cioè al «pudore». «Pudore», certo, nella
sfera sessuale, ma anche pudore e continenza nell'esercizio sfrenato,
arrogante, spregiudicato della volontà. E, al contrario, rivolgersi a una
pratica più assidua e rigorosa della «riflessione» e della «conoscenza».
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