sabato 11 novembre 2017

IGNORANZA


«La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve necessariamente essere infinita».

A dire queste parole non è un predicatore in vena di moralismo, ma uno dei grandi filosofi della scienza del secolo scorso, il viennese Karl Popper, nato nel 1902 e morto a Londra nel 1994. Espressioni analoghe erano state dette o scritte da scienziati del livello di Einstein, Heisenberg e Planck. L'orizzonte della nostra conoscenza, pur esaltante, quanto più s'allarga tanto più vede l'immensità dell'ignoto che gli si schiude innanzi. Questa "ignoranza" è nobile e Montaigne, il celebre pensatore del Cinquecento, nei suoi Saggi la puntualizzava così: «L'ignoranza che si conosce e giudica non è vera ignoranza. Lo è solo quando ignora se stessa». L'ignorante saccente è il vero ignorante e il suo è «un male invincibile», come lo definiva Sofocle in uno dei frammenti a lui attribuiti.

Purtroppo ai nostri giorni la superficialità è una divisa indossata con orgoglio, l'arroganza dell'insipiente è rispettata e considerata segno di decisionismo e persino di acutezza. Essa conduce non solo all'approssimazione e all'impreparazione, ma anche alla rozzezza, all'inciviltà, alla cafonaggine, come si è soliti dire (e chi lo è – rozzo, incivile, cafone –, non s'imbarazza certo di essere così classificato). Finisco come ho iniziato. Leggete le righe che ora cito. Non sono neanch'esse di un predicatore, né di un pessimista della ragione. È nientemeno che Voltaire il quale nella sua Vita di Federico II scriveva, fin esagerando: «Non sappiamo nulla di noi stessi e ci muoviamo, viviamo, sentiamo e pensiamo senza sapere come. Gli elementi della materia ci sono sconosciuti. Siamo ciechi che procedono e ragionano a tentoni». 

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