sabato 16 settembre 2017

EPICURO E LA FISICA


A questo punto la “Teoria della Conoscenza” cade dentro il dominio della fisiologia e si collega direttamente all’ambito fisico-cosmologico. Questo passaggio lo si può ricavare con estrema chiarezza nell’ “Epistola ad Erodoto”, dove Epicuro scrive: «Bisogna anche ritenere che noi vediamo la forma delle cose e pensiamo per mezzo di qualcosa che dall’esterno giunge a noi. Non potrebbero infatti le cose esterne imprimere il loro colore e la loro forma per mezzo dell’aria frapposta fra noi e loro, né per mezzo di radiazioni o di afflussi che si dipartono da noi verso di esse, così come lo possono per mezzo di immagini che giungano a noi dagli oggetti esterni, conservandone colore e forma e con grandezza proporzionata alla nostra vista o alla nostra mente, muoventisi con grande velocità, e per questa causa adatte a dare la sensazione di un tutto unico e continuo, capaci di conservare le qualità dell’oggetto da cui provengono in seguito all’armonico impulso che loro proviene dal martellare in profondità degli atomi del corpo solido. E quella percezione che noi conosciamo, sia per un atto di attenzione della mente, sia dei sensi, sia della forma, sia dei caratteri essenziali, è proprio la forma dell’oggetto solido, risultante dall’ordinato, continuo presentarsi di un simulacro o di un’impronta residua lasciata da esso». 

Su questa base la “Teoria della Conoscenza” è meno una psicologia e più una fisica. D’altra parte, la fisica non può non essere una cosmologia. La “Fisica” di Epicuro si rifà, nella sostanza, all’atomismo di Democrito, ma ne riformula interamente la dottrina. 

Epicuro sostiene che i corpi sensibili sono aggregati di atomi: se essi si distruggono e scompaiono, non così accade agli elementi primi, vale a dire agli  atomi stessi. Nascita e distruzione non sono, allora, nulla di più che aggregazione e disaggregazione, e i diversi corpi non sono altro che il risultato delle diverse modalità dell’aggregarsi medesimo. L’universo nel suo complesso coincide con il moto eterno degli atomi e tale moto dà luogo ad infinite permutazioni. L’esistenza dei corpi è un dato dell’esperienza sensibile, ma poiché i corpi si muovono è necessario che vi sia il “vuoto” come condizione del loro movimento. L’esistenza del “vuoto” è quindi direttamente implicata con l’esperienza del moto. 

Tutto ciò che esiste si identifica dunque con gli atomi ed il vuoto parimenti infiniti. Nell’ “Epistola ad Erodoto” si legge: «E anche per la quantità dei corpi e per la grandezza del “vuoto” il tutto è infinito. Se infatti il “vuoto” fosse infinito e i corpi finiti, questi non potrebbero rimanere in alcun luogo, ma vagherebbero per l’infinito “vuoto”, sparsi qua e là, non sostenuti né mossi da altri corpi nei rimbalzi; se poi fosse finito il “vuoto”, i corpi infiniti non avrebbero dove stare». Gli atomi, infine, sono indivisibili poiché se fossero divisibili all’infinito tutto si ridurrebbe a nulla e nessuna cosa sarebbe. 

Questo concetto è espresso da Epicuro nella medesima “Epistola ad Erodoto”: «E poi dei corpi alcuni sono aggregati, altri componenti degli aggregati. Questi sono indivisibili e immutabili dato che tutto non deve distruggersi nel nulla, ma permanere essi saldi nella dissoluzione degli aggregati, avendo natura compatta, né esistendo dove o come possono essere distrutti. Per cui è necessario che i principi costitutivi dei corpi siano indivisibili». 

Detto questo, Epicuro determina il moto degli atomi e ne indica tre diverse modalità: 1) per caduta, 2) per urto, 3) per declinazione. Il movimento degli atomi nel “vuoto” infinito è uniforme e, in senso stretto, né verso l’alto, né verso il basso: infatti nell’infinito il basso e l’alto non si possono dire in modo assoluto. Importante, poi, nella dottrina d’Epicuro, è il concetto di “deviazione” (parénklisis, clinamen). Solo in forza di tale deviazione avviene lo scarto e quindi l’urto: da qui la possibilità di aggregazione che dà luogo al mondo sensibile. In tal modo, in Epicuro si combinano la dottrina della «necessità» con quella del «caso», il «meccanicismo» con l’«indeterminazione».   


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