Stando
comunque alla tradizione, quella parte della
filosofia epicurea che va sotto il nome di “Canonica”
ha tale nome perché riguarda il canone, cioè la regola fondamentale o l’insieme
di norme in base alle quali costruire l’intero sistema. Per questo la “Canonica” era chiamata dagli epicurei
scienza degli elementi (Stoicheiotikón).
Per Epicuro il criterio primo di verità era la “sensazione”. Infatti, come il
piacere e il dolore costituiscono le prime affezioni in base a cui si determina
il bene pratico, così per quanto attiene alla verità il fondamento primo è la “sensazione”.
Sesto Empirico riassume la
dottrina epicurea relativa alla rappresentazione in questi termini: «Per le
rappresentazioni, che sono nostre passioni, quel che produce ciascuna di esse è
sempre e completamente rappresentabile e non gli è possibile, essendo
rappresentabile, non essere secondo verità tale quale si rappresenta, non essere
cioè produttore di rappresentazione». In base a questa premessa, stando sempre
alla redazione di Sesto, si deve concludere che: «è proprio della “sensazione”
cogliere soltanto quel che è presente e la muove».
Sotto questo aspetto, le rappresentazioni «sono tutte vere,
mentre le opinioni non sono tutte vere, ma presentano certe differenze. Di esse
infatti alcune sono vere altre false, giacché consistono in giudizi che noi
portiamo sulle rappresentazioni ed alcune le giudichiamo rettamente ed altre
invece malamente o per l’aggiungere e attribuire qualcosa in più alle
rappresentazioni o per togliere qualcosa di esse e in generale per l’affermare
falsamente sulla sensazione arazionale».
È
dunque il giudizio che è vero o falso; sempre vera è la “sensazione”
che prescinde dall’enunciato razionale. La dottrina epicurea della “sensazione”
prende avvio dall’oggettività del “páthos”
o “affezione”: più precisamente
dall’«immediatezza» dell’essere
affetti. Nell’essere affetti, appare l’oggetto che è “simulacro”: tale apparizione si sdoppia tra l’oggetto in sé e
l’immagine. Tuttavia l’immagine, in quanto attualità del percepire, è
assolutamente consistente in se stessa e perciò non è possibile alcuna
gerarchia tra le percezioni. Da tutto ciò consegue che il rapporto
soggetto-simulacro si differenzia dal rapporto soggetto-oggetto. Infatti il primo
per le ragioni su esposte è sempre vero, il secondo, poiché è un rapporto
mediato dalla rappresentazione, è suscettibile del vero e del falso.
Vero o falso è dunque il
giudizio. Ma come si forma il giudizio? Diogene Laerzio, nella sua “Vita di Epicuro”, dice che «una
opinione, o idea, o nozione universale» non è altro che «la memoria di ciò che
si è spesso presentato alla nostra mente». Quest’idea generale è detta “prólepsis”, ossia “prenozione”, vale a dire quell’anticipazione entro cui si inquadra
la nuova “sensazione” e che dà luogo al giudizio. La “prólepsis” non è altro che l’«apprensione»
(Katálepsis) fissata nella memoria.
Senza la prolessi non ci sarebbe giudizio, poiché mancherebbe la categoria
generale per inquadrare il fenomeno, vale a dire la “sensazione” nella sua
immediatezza.
Le prolessi,
stando a Diogene Laerzio, sono chiare ed evidenti. Da dove, allora, l’errore?
Dalla previsione, che è poi una scorretta applicazione dell’anticipazione, o
delle idee generali, alla “sensazione” o rappresentazione. L’errore, quindi, si
ha quando l’idea generale è attivata in relazione ad un’immagine fisica
deteriorata. In tal caso, bisogna saper attendere la conferma. Il testo di
Diogene Laerzio in questo caso è chiaro: «chiamano l’opinione anche “presunzione” (hypólepsis) e dicono che può essere vera o falsa: se riceve
conferma oppure non riceve attestazione contraria è vera; se invece non riceve
conferma o riceve attestazione contraria è falsa. Da ciò fu introdotta
l’espressione “ciò che attende conferma”; come per esempio l’attendere
l’avvicinarsi della torre e apprendere come è da vicino».
Attendere conferma, dunque. Questo è il criterio di verità
o, quanto meno, il principio di limitazione dell’errore. La "sensazione" è
immediata e arazionale: detto altrimenti la "sensazione" esibisce una sua verità
indipendentemente dal ragionamento. Essa è così come si dà. Per altro verso le
prolessi sono chiare. Per evitare l’errore bisogna il più possibile accettare
l’immediatezza della "sensazione" evitando la presunzione, ossia una scorretta
applicazione delle “anticipazioni”
sulle “rappresentazioni”.
Il saper attendere è una sorta
di sospensione del giudizio (epoché)
in vista dell’accertamento della corrispondenza tra idee generali e fatti: una
forma di controllo empirico. Centrale in tutto ciò è la “dottrina del simulacro”. Epicuro accoglie la dottrina di Democrito
secondo la quale le «immagini mantenendo l’immagine dei corpi da cui provengono
colpiscono gli occhi di chi vede e così nasce il vedere». Questo principio vale
con diversa modificazione per tutti i sensi. La formazione del simulacro
avviene grazie ad una forma di impressione dell’oggetto sul senziente e alla
relativa proporzione tra i due.
Nessun commento:
Posta un commento