domenica 2 luglio 2017

ARISTOTELE E LE FORME DI COSTITUZIONE


Che cos’è la “costituzione”? «La costituzione è l’ordinamento delle varie magistrature di uno Stato e specialmente di quella che è sovrana suprema di tutto: infatti, sovrana suprema è dovunque la suprema autorità dello Stato e la suprema autorità è la costituzione» (Pol., III, 6). 

Nelle democrazie, sovrano è il popolo; nelle oligarchie, la sovranità spetta ai pochi ricchi. Ora lo Stato esiste solo in vista dell’interesse comune. «È evidente quindi che quante costituzioni mirano all’interesse comune sono giuste in rapporto al giusto in assoluto, quante, invece, mirano solo all’interesse personale dei capi sono sbagliate tutte e rappresentano una deviazione dalle rette costituzioni: sono pervase da spirito di dispotismo, mentre lo Stato è comunità di liberi» (Pol., III, 6). 

Esistono pertanto diverse forme di costituzione giuste, nel senso sopra precisato. Queste sono la “monarchia”, l’ “aristocrazia”, la “politía”; loro degenerazioni sono rispettivamente la “tirannide”, l’ “oligarchia” e la “democrazia” nel senso deteriore. Si ha invece la “politía”, «quando poi la massa regge lo Stato badando all’interesse comune» (III, 7). Nella “tirannide”, prevale l’interesse del monarca; l’ “oligarchia” privilegia l’interesse dei ricchi, la “democrazia” l’interesse dei poveri: al vantaggio della comunità invece non bada nessuna di queste forme costituzionali. 

Pertanto, perché vi sia una forma costituzionale adeguata, occorre che nello Stato sia prevalente la classe media, come avviene nella forma da Aristotele privilegiata, la “politía”. Lo Stato è costituito non in vista della ricchezza, né solo come alleanza militare, né allo scopo di commerciare, né per semplice comunanza di luogo: «tutto questo necessariamente c’è, se deve esserci uno Stato, però non basta perché ci sia uno Stato: lo Stato è comunanza di famiglie e di stirpi nel vivere bene: il suo oggetto è un’esistenza pienamente realizzata e indipendente (…). È proprio in grazia delle opere belle e non della vita associata che si deve ammettere l’esistenza della comunità politica» (III, 9). 

Qui si allude a una comunità politica che vede la partecipazione dei molti al potere. A differenza di Platone, Aristotele difende la forma democratica corretta. Molte persone, prese nella loro totalità e non singolarmente, sono infatti superiori ai pochi eccellenti. «In realtà, essendo molti, ciascuno ha una parte di virtù e di saggezza e come quando si raccolgono insieme, in massa, diventano un uomo con molti piedi, con molte mani, con molti sensi, così diventano un uomo con molte eccellenti doti di carattere e d’intelligenza». 

A ciò deve aggiungersi il pericolo dell’esclusione della massa dalle cariche. Inoltre, «le leggi rettamente emanate devono essere sovrane e chi detiene il potere, sia uno o siano più, è sovrano in tutti quei casi in cui le leggi non possono pronunciarsi con esattezza, perché non è facile emanare norme generali per tutti i casi» (III, 12). 

Certo, soggiunge Aristotele, se esistesse uno (o pochi) «tanto diverso per virtù o per capacità politica: come un Dio tra gli uomini è naturalmente un uomo siffatto». Per simili uomini non c’è vincolo o subordinazione alla legge; «sono essi la legge e sarebbe ridicolo chi cercasse di redigere una legislazione per loro» (III, 13). Ed è proprio per questo che gli stati retti a “democrazia” hanno l’ «ostracismo» (istituzione giuridica della democrazia ateniese volta a punire con un esilio temporaneo di 10 anni coloro che avrebbero potuto rappresentare un pericolo per la città): perseguono infatti l’eguaglianza e per questo bandiscono quanti mostrano di possedere eccessivo potere o a causa della ricchezza o per altri motivi. 

Perciò, conclude Aristotele, occorre operare per favorire nello Stato la presenza di una classe media. Infatti, «lo Stato vuole essere costituito, per quanto è possibile, di elementi uguali e simili, il che succede soprattutto con le persone di ceto medio». Questo ceto evita i pericoli di quegli Stati dominati o da chi possiede troppo o da chi non possiede niente, Stati per questo motivo esposti ai pericoli della “tirannide”, della “oligarchia” o della “democrazia” sfrenata. Solo il ceto medio consente di mantenere l’uguaglianza.        

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