Poiché lo “Stato” risulta costituito da una pluralità di cittadini, per rispondere alla domanda
su che cos’è lo “Stato”, occorre preliminarmente rispondere alla domanda su chi
è il “cittadino”. «Cittadino in senso assoluto non è definito da altro che
dalla partecipazione alle funzioni di giudice e alle cariche» (Pol., III, 1), cioè dalla partecipazione all’assemblea che governa la
città. Tale definizione si applica soprattutto al “cittadino” della “polis” democratica. Solo in essa,
infatti, i liberi partecipano direttamente a tutte le funzioni di governo, da
quella giudiziaria a quella legislativa ed esecutiva.
Dalla cittadinanza sono esclusi non solo gli schiavi e i
“meteci”, ma anche gli agricoltori e i lavoratori manuali, in quanto svolgono
funzioni che li assoggettano alle necessità della natura e quindi ciò fa di
essi dei subordinati e non dei liberi. Nell'antica Grecia
il “meteco” è lo straniero libero,
residente stabilmente in una città. La posizione giuridica non consentiva al “meteco” di prendere parte alla vita
politica, essere giudice, magistrato, sacerdote; era inoltre tenuto a pagare
alcune tasse (per la residenza, l'esercizio del commercio). La
prassi politica compete solo a quanti sono liberi in questo senso. Solo
costoro, infatti, non dipendono da altri e possono perciò avere il proprio fine
in se stessi.
Dopo aver risposto alla
domanda circa il “cittadino”, Aristotele passa a rispondere alla
domanda circa lo Stato. Tale questione viene affrontata sul versante
dell’identità dello Stato. L’identità di uno Stato non è data dal fatto che i
cittadini vivano in un identico luogo, ma è determinata essenzialmente dalla
“costituzione”. È questa che determina la forma e la natura dell’unione che si
realizza in un certo Stato. Sicché «uno Stato è lo stesso guardando alla
costituzione»; se muta questa, lo Stato è diverso.
Altra questione sorge circa l’identità o meno della virtù
dell’uomo buono con quella del buon “cittadino”. Ora, la virtù del buon
“cittadino” è necessariamente correlata con la “costituzione”. La virtù del
buon “cittadino” deve necessariamente essere in tutti i cittadini, al contrario,
poiché non tutti i cittadini sono uguali, in quanto lo Stato risulta da
individui differenti, allora la virtù dell’uomo buono – quella adeguata al suo
essere e alla sua attività – è altra da quella del buon “cittadino”. A funzioni
diverse, corrispondono virtù diverse.
La virtù del buon “cittadino” è «la
capacità di comandare e di obbedire». Egli cioè deve sapere comandare, se
svolge una funzione di governo, e obbedire nel caso contrario: il comando,
infatti, compete a uomini liberi sotto entrambi gli aspetti.
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