giovedì 22 giugno 2017

STATO E CITTADINO SECONDO ARISTOTELE


Poiché lo “Stato” risulta costituito da una pluralità di cittadini, per rispondere alla domanda su che cos’è lo “Stato”, occorre preliminarmente rispondere alla domanda su chi è il “cittadino”. «Cittadino in senso assoluto non è definito da altro che dalla partecipazione alle funzioni di giudice e alle cariche» (Pol., III, 1), cioè dalla partecipazione all’assemblea che governa la città. Tale definizione si applica soprattutto al “cittadino” della “polis” democratica. Solo in essa, infatti, i liberi partecipano direttamente a tutte le funzioni di governo, da quella giudiziaria a quella legislativa ed esecutiva. 

Dalla cittadinanza sono esclusi non solo gli schiavi e i “meteci”, ma anche gli agricoltori e i lavoratori manuali, in quanto svolgono funzioni che li assoggettano alle necessità della natura e quindi ciò fa di essi dei subordinati e non dei liberi. Nell'antica Grecia il “meteco” è lo  straniero libero, residente stabilmente in una città. La posizione giuridica non consentiva al “meteco” di prendere parte alla vita politica, essere giudice, magistrato, sacerdote; era inoltre tenuto a pagare alcune tasse (per la residenza, l'esercizio del commercio). La prassi politica compete solo a quanti sono liberi in questo senso. Solo costoro, infatti, non dipendono da altri e possono perciò avere il proprio fine in se stessi. 

Dopo aver risposto alla domanda circa il “cittadino”, Aristotele passa a rispondere alla domanda circa lo Stato. Tale questione viene affrontata sul versante dell’identità dello Stato. L’identità di uno Stato non è data dal fatto che i cittadini vivano in un identico luogo, ma è determinata essenzialmente dalla “costituzione”. È questa che determina la forma e la natura dell’unione che si realizza in un certo Stato. Sicché «uno Stato è lo stesso guardando alla costituzione»; se muta questa, lo Stato è diverso. 

Altra questione sorge circa l’identità o meno della virtù dell’uomo buono con quella del buon “cittadino”. Ora, la virtù del buon “cittadino” è necessariamente correlata con la “costituzione”. La virtù del buon “cittadino” deve necessariamente essere in tutti i cittadini, al contrario, poiché non tutti i cittadini sono uguali, in quanto lo Stato risulta da individui differenti, allora la virtù dell’uomo buono – quella adeguata al suo essere e alla sua attività – è altra da quella del buon “cittadino”. A funzioni diverse, corrispondono virtù diverse. 

La virtù del buon “cittadino” è «la capacità di comandare e di obbedire». Egli cioè deve sapere comandare, se svolge una funzione di governo, e obbedire nel caso contrario: il comando, infatti, compete a uomini liberi sotto entrambi gli aspetti.   

   

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