Innanzitutto, In polemica sulla
questione delle “Idee”, dotate
secondo Platone di una esistenza propria, Aristotele sostiene che queste non
esistono in quanto tali, ma esistono invece in quanto «forme» che fanno intelligibili le cose, di cui costituiscono l’«essenza». Ogni cosa, infatti, è «sinolo» di materia e forma.
L’esempio
del bronzo come materia, della configurazione del bronzo data dallo scultore
come forma, e dalla statua in quanto materia organizzata in una certa forma, «sinolo», ricorre più volte in Aristotele
e serve a illustrare uno dei punti focali della sua teoria.
Secondo: È opportuno un raffronto tra l’impostazione
aristotelica della politica e quella platonica. Innanzi tutto Aristotele
critica Platone per non aver distinto il rapporto politico che intercorre tra
governante e governato e quello istituito tra padrone e schiavo o quello
presente nelle relazioni familiari, come se non vi fosse alcuna distinzione di
natura nel concetto di una grande casa e in quello di un piccolo Stato.
La differenza tra queste realtà
non è di ordine quantitativo ma di specie. Del pari critico è nei confronti
dell’accentuazione del concetto di unità dello Stato, che in Platone per
realizzarsi deve passare attraverso l’abolizione della famiglia e della
proprietà privata. «Eppure è chiaro che se uno Stato nel suo processo di
unificazione diventa sempre più uno, non sarà neppure uno Stato, perché lo
Stato è per sua natura pluralità e diventando sempre più uno si ridurrà a
famiglia da Stato e a uomo da famiglia» (Pol.,
II, 1).
Dunque, chi fosse in grado di realizzare un tale tipo di
unità, in realtà verrebbe a distruggere lo Stato, che è sì unità, ma fondata su
elementi specificatamente diversi. Del pari, Aristotele è contrario alla
proprietà comune. «In realtà, la proprietà dev’essere comune in qualche modo,
ma, come regola generale, privata: così la separazione degli interessi non darà
luogo a rimostranze reciproche, sarà piuttosto uno stimolo, giacché ciascuno
bada a quel che è suo, mentre la virtù farà sì che nell’uso le proprietà degli
amici siano comuni». (ibidem - nella stessa opera -, II, 5).
Educare a ciò è compito del legislatore. Proprio per
questo, il legislatore deve tener conto dell’incidenza della proprietà sulle
relazioni sociali e politiche, e deve mirare a raggiungere un certo equilibrio.
Con le leggi e la educazione, occorre allora «equilibrare i desideri più che le
sostanze e ciò non è possibile se non a chi è convenientemente educato dalle
leggi (II, 7). La legge si fonda sul
costume e questo si realizza soltanto in un lungo lasso di tempo. Sicché non si
devono mutare con leggerezza le leggi. Ma Aristotele è più in generale
contrario alla impostazione della politica platonica: al suo tentativo di una
deduzione astratta delle norme, alla rigida scissione tra le classi, al potere
affidato a filosofi e guerrieri, alla scarsa attenzione dedicata, almeno nella
“Repubblica”, alla storia e alle
consuetudini.
Nota finale:
In contrasto con la visione dualistica di Platone dove l’ “anima” è vista come totalmente altro dal “corpo”, preesistente a questo e destinata all’immortalità, Aristotele, recuperando l’unità del vivente, definisce l’ “anima” come principio formale e attuale della vita organica, principio intelligibile che, strutturando il “corpo” (materia), lo fa essere ciò che deve essere.
In contrasto con la visione dualistica di Platone dove l’ “anima” è vista come totalmente altro dal “corpo”, preesistente a questo e destinata all’immortalità, Aristotele, recuperando l’unità del vivente, definisce l’ “anima” come principio formale e attuale della vita organica, principio intelligibile che, strutturando il “corpo” (materia), lo fa essere ciò che deve essere.
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