Si è visto che della famiglia fa
parte anche lo schiavo, che costituisce il mezzo per l’acquisizione di ciò che
è necessario alla riproduzione. L’arte che il padrone in quanto capo della casa
(óikos) deve esercitare per l’acquisizione
dei beni si chiama “crematistica”.
Questa è un aspetto dell’arte dell’amministrazione della casa (oikonomía).
La relazione servo-padrone
costituisce anch’essa una forma di comunità elementare naturale, proprio in
quanto il servo, non essendo autosufficiente perché privo della capacità
deliberativo-intellettiva, deve necessariamente unirsi al padrone e a lui
essere subordinato. Esso è «strumento» animato del quale il padrone si serve:
«anche lo schiavo è un oggetto di proprietà animato e ogni servitore è come uno
strumento che ha precedenza sugli altri strumenti» (Pol., I, 4), in quanto può a sua
volta servirsi di altri strumenti.
L’esistenza
della schiavitù costituisce per Aristotele, come in generale per il
mondo antico, un fatto di natura, non il risultato di una conversione o della
forza. In quanto strumento, esso si interpone tra l’uomo libero e la natura,
consentendo così all’uomo libero di sottrarsi all’assoggettamento
(sottomissione) alla natura. Di qui la definizione dello schiavo come «un
essere che per natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo
uomo, questo è per natura schiavo; e appartiene a un altro chi, pur essendo
uomo, è oggetto di proprietà; e oggetto di proprietà è uno strumento ordinato
all’azione e separato» (Pol., I, 5). Pertanto la schiavitù,
in quanto naturale, è giusta. Essa deve essere considerata dal lato della
natura, non dal lato della piena umanità, al pari di qualunque animale di cui
ci serviamo.
Per quanto concerne
il problema dell’acquisizione e della gestione dei beni, Aristotele traccia una
differenza tra arte dell’amministrazione domestica (oikonomía) e arte dell’acquisizione delle ricchezze (crematistica): quest’ultima, infatti,
procaccia i beni, ma solamente la prima possiede la capacità di servirsene in
funzione del raggiungimento del fine. Il primato compete alla scienza dell’uso,
non all’arte dell’acquisizione, che è dunque subordinata e parte della prima.
Vi sono tuttavia «due» forme di “crematistica”:
l’una è “naturale”, e ha il compito di
provvedere a procurare i beni necessari alla vita e utili alla comunità della
casa e dello Stato. I beni vengono cioè acquisiti esclusivamente in funzione
dei bisogni, per rendere l’uomo autosufficiente. Ancora una volta viene
sottolineato il primato del valore di uso.
Vi
è tuttavia una seconda forma di “crematistica”,
quella “non naturale”, la quale ha
per scopo quello di acquisire ricchezza senza fine, cioè indipendentemente e
oltre la pura esigenza della soddisfazione dei bisogni. Questa forma “non naturale” sorge dal fatto che ogni
bene può essere considerato o in relazione al suo uso, cioè in rapporto alle
qualità naturali o artificiali per le quali esso è stato prodotto – ad esempio
il camminare per la scarpa – oppure lo si può considerare in rapporto al suo
valore di scambio, cioè al valore che ad esso bene viene attribuito per il
fatto di essere scambiato. La “crematistica”
utilizza lo “scambio”, che è
legittimo solo in quanto esso deve consentire di procurare ciò di cui l’uomo è
naturalmente privo, da acquisire mediante lo scambio con ciò che egli possiede
in abbondanza, in modo da collocare i beni in rapporto ai bisogni.
In questo senso lo “scambio”, in quanto si muove lungo la
linea dell’autosufficienza voluta da natura per ciascun vivente, è naturale.
Ma, con l’introduzione dell’uso della moneta, prima adottata come semplice
mezzo per rendere più facili gli scambi, è stato possibile scindere i diversi
momenti dello scambio e utilizzare il rapporto tra scambio e moneta come
strumento per acquisire ricchezza senza fine, cioè ricchezza monetaria non più
vincolata ai bisogni naturali. Con ciò lo scambio viene ad essere finalizzato
al guadagno e al profitto. Il guadagno viene in tal modo a spezzare il rapporto
di “philía”, di amicizia fra i
cittadini, che si fonda essenzialmente sulla reciprocità, cioè sullo scambio
eguale.
Funzione essenziale
in questa trasformazione svolge il commercio al minuto, nel quale si realizza
il guadagno che deriva dallo squilibrio che sussiste tra il valore reale del
prodotto e quello possibile sulla base dello scambio. È allora possibile un
incremento della ricchezza non più fondato sull’incremento dei beni,
utilizzando il denaro quindi non più come mezzo di scambio che mette in
relazione due prodotti, ma come inizio e fine dello scambio stesso. Si compra
cioè solo per vendere.
La “crematistica non naturale” abbandona
così il primato del valore d’uso e del concetto di bisogno, trascura il limite
dell’autosufficienza per ricercare il modo infinito di accumulare ricchezza,
rendendo produttivo lo stesso denaro, sia nel commercio come nell’usura o
prestito ad interesse. «Perciò si ha pienissima ragione a detestare l’usura,
per il fatto che, in tal caso, i guadagni provengono dal denaro stesso e non da
ciò per cui il denaro è stato inventato.. Perché fu introdotto in vista dello
scambio, mentre l’interesse lo fa crescere sempre di più (…), sicché questa è
tra le forme di guadagno la più contraria a natura» (Pol., I, 10).
Aristotele delinea
così il passaggio da una forma sociale nella quale l’economia è subordinata
alle relazioni sociali e politiche, ad una forma nella quale l’economia tende a
svincolarsi, a porsi come momento autonomo e quindi a subordinare a sé la
totalità delle relazioni umane.
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