domenica 4 giugno 2017

ARISTOTELE E L’ECONOMIA


Si è visto che della famiglia fa parte anche lo schiavo, che costituisce il mezzo per l’acquisizione di ciò che è necessario alla riproduzione. L’arte che il padrone in quanto capo della casa (óikos) deve esercitare per l’acquisizione dei beni si chiama “crematistica”. Questa è un aspetto dell’arte dell’amministrazione della casa (oikonomía). 

La relazione servo-padrone costituisce anch’essa una forma di comunità elementare naturale, proprio in quanto il servo, non essendo autosufficiente perché privo della capacità deliberativo-intellettiva, deve necessariamente unirsi al padrone e a lui essere subordinato. Esso è «strumento» animato del quale il padrone si serve: «anche lo schiavo è un oggetto di proprietà animato e ogni servitore è come uno strumento che ha precedenza sugli altri strumenti» (Pol., I, 4), in quanto può a sua volta servirsi di altri strumenti. 

L’esistenza della schiavitù costituisce per Aristotele, come in generale per il mondo antico, un fatto di natura, non il risultato di una conversione o della forza. In quanto strumento, esso si interpone tra l’uomo libero e la natura, consentendo così all’uomo libero di sottrarsi all’assoggettamento (sottomissione) alla natura. Di qui la definizione dello schiavo come «un essere che per natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo uomo, questo è per natura schiavo; e appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà; e oggetto di proprietà è uno strumento ordinato all’azione e separato» (Pol., I, 5). Pertanto la schiavitù, in quanto naturale, è giusta. Essa deve essere considerata dal lato della natura, non dal lato della piena umanità, al pari di qualunque animale di cui ci serviamo. 

Per quanto concerne il problema dell’acquisizione e della gestione dei beni, Aristotele traccia una differenza tra arte dell’amministrazione domestica (oikonomía) e arte dell’acquisizione delle ricchezze (crematistica): quest’ultima, infatti, procaccia i beni, ma solamente la prima possiede la capacità di servirsene in funzione del raggiungimento del fine. Il primato compete alla scienza dell’uso, non all’arte dell’acquisizione, che è dunque subordinata e parte della prima. Vi sono tuttavia «due» forme di “crematistica”: l’una è “naturale”, e ha il compito di provvedere a procurare i beni necessari alla vita e utili alla comunità della casa e dello Stato. I beni vengono cioè acquisiti esclusivamente in funzione dei bisogni, per rendere l’uomo autosufficiente. Ancora una volta viene sottolineato il primato del valore di uso. 

Vi è tuttavia una seconda forma di “crematistica”, quella “non naturale”, la quale ha per scopo quello di acquisire ricchezza senza fine, cioè indipendentemente e oltre la pura esigenza della soddisfazione dei bisogni. Questa forma “non naturale” sorge dal fatto che ogni bene può essere considerato o in relazione al suo uso, cioè in rapporto alle qualità naturali o artificiali per le quali esso è stato prodotto – ad esempio il camminare per la scarpa – oppure lo si può considerare in rapporto al suo valore di scambio, cioè al valore che ad esso bene viene attribuito per il fatto di essere scambiato. La “crematistica” utilizza lo “scambio”, che è legittimo solo in quanto esso deve consentire di procurare ciò di cui l’uomo è naturalmente privo, da acquisire mediante lo scambio con ciò che egli possiede in abbondanza, in modo da collocare i beni in rapporto ai bisogni. 

In questo senso lo “scambio”, in quanto si muove lungo la linea dell’autosufficienza voluta da natura per ciascun vivente, è naturale. Ma, con l’introduzione dell’uso della moneta, prima adottata come semplice mezzo per rendere più facili gli scambi, è stato possibile scindere i diversi momenti dello scambio e utilizzare il rapporto tra scambio e moneta come strumento per acquisire ricchezza senza fine, cioè ricchezza monetaria non più vincolata ai bisogni naturali. Con ciò lo scambio viene ad essere finalizzato al guadagno e al profitto. Il guadagno viene in tal modo a spezzare il rapporto di “philía”, di amicizia fra i cittadini, che si fonda essenzialmente sulla reciprocità, cioè sullo scambio eguale. 

Funzione essenziale in questa trasformazione svolge il commercio al minuto, nel quale si realizza il guadagno che deriva dallo squilibrio che sussiste tra il valore reale del prodotto e quello possibile sulla base dello scambio. È allora possibile un incremento della ricchezza non più fondato sull’incremento dei beni, utilizzando il denaro quindi non più come mezzo di scambio che mette in relazione due prodotti, ma come inizio e fine dello scambio stesso. Si compra cioè solo per vendere. 

La “crematistica non naturale abbandona così il primato del valore d’uso e del concetto di bisogno, trascura il limite dell’autosufficienza per ricercare il modo infinito di accumulare ricchezza, rendendo produttivo lo stesso denaro, sia nel commercio come nell’usura o prestito ad interesse. «Perciò si ha pienissima ragione a detestare l’usura, per il fatto che, in tal caso, i guadagni provengono dal denaro stesso e non da ciò per cui il denaro è stato inventato.. Perché fu introdotto in vista dello scambio, mentre l’interesse lo fa crescere sempre di più (…), sicché questa è tra le forme di guadagno la più contraria a natura» (Pol., I, 10). 

Aristotele delinea così il passaggio da una forma sociale nella quale l’economia è subordinata alle relazioni sociali e politiche, ad una forma nella quale l’economia tende a svincolarsi, a porsi come momento autonomo e quindi a subordinare a sé la totalità delle relazioni umane.         

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