Si è avuto modo di
osservare, trattando del rapporto tra “etica”
e “politica”, come quest’ultima si
ponga come la scienza più elevata e dominante. La stessa “felicità” si raggiunge solo in quanto si pervenga all’autosufficienza.
«Noi intendiamo per autosufficienza non il bastare a sé solo di un individuo,
che conduce una vita solitaria, ma anche il bastare ai suoi parenti, ai figli,
alla moglie e infine agli amici e concittadini, poiché per natura l’uomo è un essere
politico» (Eth. Nic., I, 7).
Quindi la vita dell’uomo nella comunità non è frutto di
scelta o di convenzione, ma determinazione «naturale», in quanto risponde alla
natura o essenza dell’uomo. Ora la comunità perfetta è lo Stato, nel quale sono
comprese e realizzate tutte le altre forme di comunità. Contro le tesi di
sofisti come Licofrone o Trasimaco, che intendono lo Stato come costruzione
artificiale e convenzionale fondata sulla scelta del singolo, e contro le
concezioni anticomunitarie dei cinici, che esaltano l’autosufficienza del
saggio e insieme la sua antipoliticità, Aristotele sottolinea il carattere
intrinseco alla più profonda natura dell’uomo che riveste lo Stato.
Contro ogni forma di
individualismo, Aristotele pone in evidenza, affrontando il problema della
genesi dello Stato, come gli elementi semplici che si ritrovano scomponendo
quel complesso che è lo Stato non siano costituiti da individui, bensì sempre e
soltanto da forme più elementari di comunità. Infatti, «è necessario in primo luogo
che si uniscano gli esseri che non sono in grado di esistere separati l’uno
dall’altro, per esempio la femmina e il maschio in vista della riproduzione (e
questo non per proponimento, ma come negli altri animali e nelle piante è
impulso naturale desiderare di lasciare dopo di sé un altro simile a sé) e chi
per natura comanda e chi è comandato al fine della conservazione (Politica, I, 2), cioè il “padrone” e lo “schiavo”.
Queste due comunità quindi si costituiscono e si intrecciano
fino a formare la “famiglia”,
assicurando la prima la riproduzione, la seconda il sostentamento. Inoltre,
nella “famiglia” si dà la relazione
tra padri e figli. Le famiglie si uniscono fra di loro per costituire il
villaggio, mentre «la comunità che risulta di più villaggi è lo Stato perfetto,
che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell’autosufficienza completa:
formato bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per rendere
possibile una vita felice. Quindi ogni Stato esiste per natura, se per natura
esistono anche le prime comunità: infatti esso è il loro fine e la natura è il
fine: per esempio, quel che ogni cosa è quando ha compiuto il suo sviluppo, noi
lo diciamo la sua natura, sia d’un uomo, d’un cavallo, d’una casa. Inoltre, ciò
per cui una cosa esiste, il fine è il meglio e l’autosufficienza è il fine e il
meglio. Da queste considerazioni
è evidente che lo Stato è un prodotto naturale e che l’uomo per natura è un
essere socievole: quindi chi vive fuori della comunità statale per natura e non
per qualche caso o è un abietto o è superiore all’uomo (…) E per natura lo
Stato è anteriore alla “famiglia” e a
ciascuno di noi perché il tutto deve essere necessariamente anteriore alla
parte: infatti, soppresso il tutto, non ci sarà più né piede né mano se non per
analogia verbale (…). È evidente dunque che lo stato esiste per natura e che è
anteriore a ciascun individuo: difatti, se non è autosufficiente, ogni
individuo separato sarà nella stessa condizione delle altre parti rispetto al
tutto, e quindi chi non è in grado di entrare nella comunità o per la sua
autosufficienza non ne sente il bisogno, non è parte dello Stato, e di
conseguenza è o bestia o dio» (Politica,
I, 2).
Lo Stato quindi, che dal punto di vista storico genetico
compare alla fine del processo che prende l’avvio dalle comunità elementari, in
quanto fine e forma che sorregge e guida l’intero processo, è ontologicamente
primo. Tale è anche in virtù del suo essere “forma totale” della quale le parti sono solo dei momenti. Questi
momenti, individui e comunità elementari, solo nel tutto possono esistere:
infatti solo in esso acquistano la loro autosufficienza. Quest’ultimo concetto
inoltre orienta il processo, che si compie solo in quanto si realizza
l’autosufficienza. L’autosufficienza a sua volta consiste non semplicemente
nella capacità di dare risposta ai bisogni elementari, cioè al vivere, bensì al
«vivere bene», cioè ad una vita completa secondo le più elevate esigenze intellettuali
e morali dell’individuo. Lo Stato pertanto non è né costrizione né limitazione,
bensì ciò che consente il pieno realizzarsi e il massimo sviluppo storicamente
possibile della libertà dell’individuo. Inoltre, lo Stato non nega né la
“famiglia” né le altre forme di comunità, bensì esso sussiste, come dice Alf
Ross, «come comunità di comunità».
Nota Finale
l’uomo, per natura animale politico, realizza se stesso e la
propria virtù nella vita associata, nello Stato che, configurandosi come il
«tutto», dà senso e giustificazione alle parti, famiglia e villaggio. Dice
Aristotele: «Chi non ha bisogno di nulla, bastando a se stesso, non è parte di
una città, ma o è una belva, bestia o un dio».
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