Dopo aver delineato le funzioni svolte
dall’anima “vegetativa”, si
analizzano le funzioni della parte “sensitiva”.
Questa esiste solo in potenza e, per essere analizzata, deve ricevere
l’affezione dell’oggetto. L’oggetto della sensazione, il sensibile, può
riferirsi ad un solo senso, e allora è detto “sensibile proprio” – ad esempio il colore della vista, il suono dell’udito,
il sapore del gusto –; “comuni” sono
invece quelle affezioni che possono riferirsi a più sensi, come ad esempio
moto, quiete, numero, figura, grandezza. Così, ad esempio, un movimento è
sensibile sia al tatto come alla vista. «In generale, per ogni percezione,
bisogna tener presente che il senso è il ricettacolo delle forme sensibili
senza la materia, come la cera riceve l’impronta dell’anello senza il ferro e
l’oro, accoglie cioè l’impronta aurea o ferrea, ma non in quanto oro o ferro.
Analogamente il senso patisce sotto l’azione di ciascun ente che ha colore o
sapore o suono, ma non in quanto è considerato ognuno di questi enti, ma in
quanto esso è tale, e in virtù della forma» (De Anima, II, 12).
Quindi nella sensazione è solo la forma quella che viene
assimilata e non la materia. Inoltre, nella percezione del “sensibile proprio”, il singolo senso non
si può ingannare: le percezioni sono in sé vere, perché rispecchiano la realtà.
L’errore può inserirsi soltanto nell’elaborazione dei dati che porta alla
rappresentazione. Oltre ai cinque sensi, non vi è altro senso. I “sensibili comuni”, come si diceva, sono
colti così come avviene quando percepiamo con la vista il dolce. «I sensi
percepiscono accidentalmente i sensibili propri gli uni agli altri, non per ciò
che essi stessi sono, ma in quanto costituiscono un unico senso, quando
simultaneamente nasce la sensazione per il medesimo oggetto, così abbiamo percezione
del fiele perché amaro e giallo: invero non è certamente proprio d’altro senso
l’atto di asserire che le due qualità rispondono ad un unico ente: di qui
l’inganno e l’opinione che ogni sostanza, purché gialla, sia fiele (De Anima, III, 1).
I cinque sensi fanno
capo al “senso generale” che, oltre
alle cinque funzioni specifiche, ne possiede alcune generali. Così ci
accorgiamo dei “sensibili comuni” mediante
la facoltà della percezione assunta nella sua totalità. Dalla «sensazione» derivano la «fantasia», cioè la produzione di immagini, e la «memoria» come
conservazione di queste. L’«anima sensitiva», inoltre, ha le funzioni del “movimento” e dell’ “appetire” o “desiderare”.
Il movimento stesso deriva dal desiderio, messo in moto dall’oggetto
desiderato, colto mediante la «sensazione».
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