L’indagine che ha per oggetto l’«anima» (psyché) come principio degli
esseri viventi viene sviluppata da Aristotele nel contesto della scienza della
natura. Tale scienza, infatti, indaga sugli esseri inanimati come su quelli
animati, siano questi ultimi dotati di ragione o meno. La trattazione di gran
lunga più significativa sul piano filosofico rimane il “De Anima” (in tre libri), che per la prima volta fonda la
“psicologia” come scienza indipendente. Le dottrine dei predecessori avevano
individuato «due» attributi essenziali dell’«anima»: il moto e l’atto
percettivo. L’«anima», infatti, in quanto principio motore viene ritenuta essa
stessa mobile, come pensano Leucippo e Democrito o i pitagorici, o Diogene ed
Eraclito; mentre Anassagora la ritiene principio del movimento in quanto “Noûs” (intelletto).
Per quanto concerne l’attributo della percezione, esso viene
spiegato da tutti (tranne Anassagora) sulla base del principio che il simile si
conosce con il simile. L’ «anima» conosce tutte le cose in quanto è costituita
dai medesimi elementi. Questi principi sono considerati o incorporei o corporei
o tutt’e due assieme, e si riconducono ad uno solo o a più principi. Dopo aver
posto in evidenza le insufficienze di queste dottrine, in quanto spiegano
l’azione motrice dell’«anima» sulla base di principi naturalistici e
l’attività conoscitiva stessa sulla base della costituzione dell’«anima» mediante elementi, Aristotele sottolinea l’assurdità di limitare l’indagine
dell’«anima» senza estenderla anche al «corpo», come se la relazione fra i due fosse del tutto casuale.
Questo delinea in senso
psicofisico l’indagine aristotelica, almeno fino a quando non si verificherà
che determinati aspetti dell’«anima», come il pensiero, non possono essere
analizzati con gli strumenti della scienza naturale, bensì con una
strumentazione schiettamente filosofica. Ciò avverrà nel terzo libro. Nel
secondo libro, Aristotele tratta innanzi tutto della definizione dell’«anima».
Il «corpo», negli esseri viventi, ha la qualità di substrato o materia, ma non
quella di forma. Ora ogni sostanza è “sinolo”
di materia e forma. Quindi il principio che anima il «corpo» non può essere lo
stesso «corpo». «Necessariamente quindi l’anima è sostanza, intesa come forma
di un corpo naturale che ha la vita in potenza. Ma la sostanza è atto perfetto
(entelécheia). L’anima, quindi, è
atto perfetto di un corpo del genere specificato» (De Anima, II, 1).
La definizione generale, pertanto, valida per ogni tipo di «anima»,
è che essa è «l’atto perfetto primo di un corpo naturale organico». Dunque il «corpo»,
senza l’«anima» che è forma, non può passare all’atto. Solo nella unità di «corpo» e di «anima» si costituisce l’essere vivente. Da ciò Aristotele trae una conseguenza:
«È chiaro dunque che l’anima non è separabile dal corpo, o almeno – se per
natura essa è divisibile – non sono separabili certe sue parti: infatti l’atto
perfetto di alcune sue parti è l’atto perfetto delle rispondenti parti del
corpo. Ma nulla impedisce che almeno altre sue parti siano separabili, poiché
non sono atto perfetto di alcun corpo» (ibidem - nella stessa opera -, II, 1, 13 a).
Con questa definizione Aristotele cerca una sintesi tra
coloro che considerano l’ «anima» solo come principio fisico e quelli che, come
Platone, reputano l’«anima» come totalmente altro dal «corpo». Ora se esistono
parti o funzioni dell’«anima» non riconducibili al «corpo», queste potranno esistere
anche separatamente dal «corpo».
Nell’«anima» si ravvisano «tre» funzioni: quella “vegetativa”, quella “sensitiva”
e quella “intellettiva” o razionale.
La prima (abbiamo un’anima “vegetativa”, con funzioni di nutrizione, crescita e riproduzione) è comune,
presente in tutti gli esseri viventi e in particolar modo esclusiva delle
piante; la seconda, con la prima, (abbiamo un’anima “sensitiva” che è la
capacità di provare sensazioni ed emozioni: percezione, movimento, desiderio,
piacere, dolore,ecc.) e risulta tipica di animali e uomini; infine, l’anima razionale o “intellettiva”, coincidente con il pensiero e la
capacità di agire consapevolmente, che è tipica degli uomini. Tutte
e «tre», infine, sono nell’uomo. «Da queste considerazioni risulta che le altre
parti dell’anima non possono essere separate, come vogliono alcuni pensatori
(cfr. Platone, Timeo, 69 d sgg.), ma tuttavia è
evidente che si distinguono logicamente per il loro concetto. Infatti, se è
vero pure che l’atto del percepire si differenzia dall’atto dell’opinare, anche
la facoltà sensitiva si differenzierà dalla facoltà opinante» (II, 2). Invece, l’intelletto,
o la facoltà speculativa, può essere separato dal «corpo», «come l’eterno dal
corruttibile».
Per quanto riguarda
il rapporto tra questi «tre» momenti, Aristotele afferma che «si determina per
l’anima circa ciò che avviene nelle figure: invero sempre il precedente è
insito in potenza nel susseguente (ibidem - nella stessa opera -, II, 3). Quindi la facoltà
nutritiva è contenuta in quella sensitiva, mentre nelle piante la nutritiva è disgiunta
dall’anima sensitiva.
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