domenica 19 marzo 2017

ARISTOTELE E LA LOGICA


La logica non è inclusa, come abbiamo visto, né fra le scienze "teoretiche" né fra quelle "pratiche", in quanto è considerata da Aristotele come parte della cultura generale, parte che dovrebbe essere appresa prima di accingersi a studiare una scienza. Essa infatti considera la forma che il discorso deve possedere per avere valore dimostrativo. Per questo suo carattere, al complesso dei trattati che compongono il “corpus” della logica, è stato dato, successivamente, il titolo di “Organon” ovvero «strumento» della scienza. Normalmente lo Stagirita si riferisce a questi trattati chiamandoli “Analitici”. È questo, infatti, il titolo dato ai «due» libri principali. 

Con il termine «analitica» ci si riferisce alla risoluzione del ragionamento nelle premesse dalle quali il ragionamento dipende. Nelle “Categorie” vengono esaminati termini semplici delle proposizioni, cioè termini senza connessione reciproca; così la proposizione «l’uomo corre» si riconduce ai termini «uomo» e «corre». Ora, «i termini che si dicono senza alcuna connessione esprimono, caso per caso, o una “sostanza”, o una “quantità”, o una “qualità”, o una “relazione”, o un “luogo”, o un “tempo”, o l’ “essere in una situazione”, o un “avere”, o un “agire” o un “patire”» (ibidem - nella stessa opera -, cap. 4). Si tratta delle «categorie», solitamente otto e non dieci come in questo caso, in quanto «essere in una situazione» e «avere» vengono ricondotti ad altre categorie. 

Le categorie, che nella “Metafisica” indicano i molteplici significati dell’essere, qui stanno ad indicare i generi supremi ai quali sono riconducibili i termini delle proposizioni. Anche nel discorso, la “sostanza” costituisce la “prima categoria” e indica il “soggetto grammaticale”. Essa è presupposta da tutte le altre categorie, che pertanto sono i predicati ultimi ai quali tutti i predicati sono riconducibili (ad esempio, rosso o bello rientrano nella “qualità”), mentre essi non possono essere compresi in altri predicati. Questi termini, assunti per sé , senza la connessione delle proposizioni, non sono né veri né falsi. Infatti, verità e falsità sussistono solo nella reciproca connessione dei termini nella proposizione, rendendo possibile l’affermazione o la negazione. 

La teoria delle proposizioni è indagata nel “De Interpretazione”. Nomi o verbi, parti della proposizione, non sono né veri né falsi: «il nome è suono della voce significativo per convenzione, il quale prescinde dal tempo»; «verbo è il nome che esprime inoltre una determinazione temporale». Il verbo è espressione caratteristica di ciò che si dice di qualcos’altro, ossia di ciò che si dice di un sostrato, o di ciò che sussiste in un sostrato» (ibidem - nella stessa opera -, cap. 3). Vero e falso si danno solo nel giudizio, che può essere affermativo (Katáphasis) o negativo (Apóphasis). Nei discorsi non dichiarativi o apofantici, come ad esempio nella preghiera, nella invocazione o simili, non ha invece luogo il vero o il falso. Il giudizio è vero quando asserisce che vanno uniti elementi che nella realtà sono effettivamente uniti, o che vanno divisi elementi effettivamente divisi. 

La verità della proposizione è data dalla corrispondenza con la realtà, nella quale sussiste quella connessione ontologica tra sostanza e predicati che il giudizio esprime in termini di soggetto e attributi grammaticali di questo. I giudizi vengono quindi distinti sulla base della quantità o estensione in: “universali” («tutti gli uomini sono mortali») o “individuali” e “singolari”, se riguardano un individuo («Socrate è bianco») oppure “particolari”, se riguardano solo alcuni («alcuni uomini sono bianchi»). 

Gli “Analitici Primi prendono in esame la connessione di più giudizi, cioè il ragionamento. In esso si dà un nesso di consequenzialità tra proposizioni antecedenti e conseguenti, quando queste ultime seguono necessariamente dalle prime. Il ragionamento perfetto è costituito da «tre» proposizioni, delle quali due fungono da antecedenti e costituiscono le "premesse", mentre la terza costituisce la "conclusione". Il "medio" unisce la premessa maggiore alla conclusione: «Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, dunque Socrate è mortale» Il ragionamento perfetto è il “Sillogismo”, definito da Aristotele come «un discorso in cui, posti taluni oggetti, alcunché di diverso dagli oggetti stabiliti risulta necessariamente per il fatto che questi oggetti sussistono» (ibidem - nella stessa opera -, I, 24, b 18-22 ). 

Le premesse divengono quindi causa della sequenza delle proposizioni, non però del loro valore di verità. Così, nell’esempio classico: «tutti gli uomini sono mortali» consegue necessariamente la conclusione «Socrate è mortale», attraverso la premessa minore che funge da medio «Socrate è un uomo». In questa forma, la premessa ha solo carattere ipotetico, come se si dicesse: «Se tutti gli uomini sono mortali, allora…». Come abbiamo detto, gli “Analitici Primi” trattano solo della «coerenza» delle proposizioni, non della verità. Quindi, Aristotele prende in esame le diverse figure del “sillogismo” e i diversi modi delle varie figure. Le figure (schémata) sono determinate dalla posizione assunta dal termine medio. Negli “Analitici Secondi” si analizza non solo la correttezza formale o coerenza dei ragionamenti, ma anche il loro valore di verità. Nella “dimostrazione scientifica”, la premessa deve essere sempre vera, perché il conseguente sia altresì vero. 

Le premesse di tale “sillogismo” devono pertanto essere «vere, prime, immediate, più note, anteriori e cause delle conclusioni». «Il “sillogismo”, infatti, sussiste anche senza queste condizioni, mentre la dimostrazione non può sussistere senza di esse, giacché non produrrebbe scienza» (ibidem - nella stessa opera -, II, 71, b 25 ). La dimostrazione è un sapere della causa o del perché; solo a questa condizione il sapere è necessario, giacché «è impossibile che ciò di cui vi è scienza in senso proprio stia diversamente da come è». 

Come conosciamo tali premesse? Infatti, se anche esse dovessero essere conosciute per via dimostrativa, occorrerebbe ricorrere ad altre premesse  e così all’infinito. Quindi, la conoscenza dei principi non può avvenire per via argomentativa, bensì attraverso una forma di conoscenza immediata. «Di conseguenza, principio della conoscenza scientifica non è la conoscenza scientifica. Allora, se non abbiamo alcun altro genere di conoscenza vera oltre la scienza, l’intuizione sarà principio della scienza» (ibidem - nella stessa opera -, II, 19, 100 b 5). Si tratta della forma di conoscenza immediata di ciò che è immediatamente evidente. 

Tra gli assiomi o principi della scienza, alcuni di essi sono comuni a più scienze (così taluni assiomi della matematica), mentre altri saranno comuni a tutte le scienze, come ad esempio il principio di non contraddizione o quello del terzo escluso, presi in esame nel IV libro della “Metafisica”. Questi principi costituiscono il fondamento primo di ogni scienza. Nei “Topici” vengono presi in esame i “sillogismi” cosiddetti “dialettici” i quali, al contrario di quelli scientifici, concludono a partire da premesse solo probabili, fondate perciò sulla “opinione”: essi sono o accettabili da tutti, o dalla grande maggioranza o dai più sapienti. 

Questi “sillogismi sono particolarmente importanti nelle dispute. Ma “sillogismi” dialettici sono anche quelle forme argomentative utilizzate per illustrare i principi primi che, come abbiamo avuto modo di vedere, possono esser «dimostrati» solamente attraverso la confutazione dei loro negatori. Questo tipo di argomentazione prende le mosse dall’opinione dell’avversario per confutarla. In tal modo si mostra l’essere evidente del principio, ovvero l’impossibilità di dare o chiedere una sua dimostrazione. Esso infatti costituisce la condizione imprescindibile del darsi di ogni dimostrazione.      

Nessun commento:

Posta un commento