In un primo significato, la
filosofia si costituisce dunque come scienza delle cause e dei principi primi
del reale, dell’«essere». Ma anche le scienze particolari indagano sul reale,
non sul nulla. Tuttavia, esse si occupano solo di un aspetto particolare della
realtà, ben delimitato, e di questo ricercano le cause: così la medicina si
occupa di un aspetto della realtà, quello della salute, mentre la biologia, ad
esempio, studia la realtà «in quanto» è vita o sotto l’aspetto della vita. La
filosofia è «scienza che considera l’essere in quanto essere e le proprietà che
gli competono in quanto tale» (Met., IV, 1).
La filosofia dunque considera l’«essere» solo ed esclusivamente «in quanto»
tale, ovvero «sotto l’aspetto di» «essere». Dunque, la filosofia in quanto
scienza delle cause e dei principi primi deve «ricercare le cause prime
dell’essere in quanto essere».
Rispetto
alle scienze particolari, la filosofia è scienza della totalità dell’«essere»,
non in quanto indaga su tutti gli aspetti dell’«essere» – come l’enciclopedismo
sofista –, ma in quanto ricerca su quel momento comune a tutte le cose che è il
loro non essere nulla. La filosofia è dunque «ontologia». Ma, a differenza di
Parmenide, che intende il termine «essere» come riconducibile ad un solo
significato – interpretazione univoca dell’«essere» –, per Aristotele l’«essere»
si dice essenzialmente in molti modi.
Per
Parmenide, poiché il significato «essere» non è identico ai significati
del molteplice, uomo, casa, ecc., ne consegue che l’«uomo» non essendo «essere»
è senz’altro «non essere». Così l’eleate è costretto a negare l’esistenza del
molteplice e del divenire. L’«essere» è uno, ingenerabile, incorruttibile,
senza divenire né tempo. Per Aristotele, al contrario, è proposizione
immediatamente evidente «che le cose della natura, o tutte o in parte, sono
mosse», così come appartiene all’evidenza immediata l’esistenza del molteplice.
Molteplicità e divenire costituiscono la “phýsis”.
Nella “Metafisica”, Aristotele ricerca quali sono i molteplici
significati dell’«essere» ai quali la totalità dei significati può essere
ricondotta. Questi significati sono: 1) l’«essere» nel senso dell’accidente; 2)
l’«essere» nel senso dell’«essere» per sé; 3) l’«essere» come vero; 4)
l’«essere» come potenza e atto. L’«essere» in quanto potenza e atto si estende
a tutti gli altri significati. L’«essere» per sé si dice secondo le figure
delle categorie.
Prima di passare in
rassegna i diversi significati, lo Stagirita (Stagira, antica città
della Grecia) si propone di risolvere un problema pregiudiziale: in che modo
questa molteplicità di significati non è un mero «omonimo» (vero, proprio, puro
e semplice), ovvero essi non si dicono «essere» in senso equivoco e neppure in
senso univoco. Infatti, «l’essere si dice in molteplici significati, ma sempre
in riferimento ad una unità e ad una realtà determinata. L’«essere, quindi, non
si dice per mera omonimia, ma nello stesso modo in cui diciamo “sano” tutto ciò
che si riferisce alla salute: o in quanto la conserva, o in quanto la produce,
o in quanto ne è sintomo, o in quanto è in grado di riceverla; o anche nel modo
in cui diciamo “medico” tutto ciò che si riferisce alla medicina: o in quanto
possiede la medicina, o in quanto ad essa è per natura ben disposto o in quanto
è opera della medicina (…)
Così
dunque anche l’«essere» si dice in molti sensi, ma tutti in riferimento
ad un unico «principio»: alcune cose sono dette esseri perché sono “sostanze”, altre perché affezioni della
“sostanza”, altre perché vie che
portano alla “sostanza”, oppure
perché corruzioni o privazioni, o qualità, o cause produttrici e generatrici
sia della “sostanza”, sia di ciò che
si riferisce alla “sostanza”, o perché negazioni di qualcuna di queste, ovvero
della “sostanza” medesima. Per
questo, anche il “non essere” diciamo che è “non essere”» (Met., IV, 2).
Dunque il centro unitario di
riferimento dei significati dell’«essere» è la “sostanza”. Sotto quest’aspetto, la scienza dell’«essere» in quanto «essere»
è insieme, scienza della “sostanza”
non in quanto l’«essere» si riduce ad un solo significato, “sostanza” appunto, ma in quanto essa è
punto di riferimento di tutti gli altri significati. «Tuttavia, in ogni caso,
la scienza ha come oggetto essenzialmente ciò che è primo, ossia ciò da cui
dipende e in virtù di cui viene denominato tutto il resto. Dunque, se questo
primo è la “sostanza”, il filosofo
dovrà conoscere le cause e i principi della “sostanza”» (Met., IV, 2, 1003
b 15).
Inoltre ogni “sostanza” è essenzialmente una, così
come è «essere», giacché l’«essere e l’uno sono una medesima cosa ed una realtà
unica, in quanto si implicano reciprocamente l’un l’altro». Chiarito ciò, Aristotele
afferma che vi sono tante parti della filosofia quante sono le “sostanze”. Sicché alla filosofia prima
compete lo studio della “sostanza”
prima. Alla medesima scienza compete anche lo studio dei contrari e delle
proprietà per sé o essenziali dell’«essere». Infine, a differenza di quanto
affermano Platone e i platonici, l’«essere», così come l’uno, non è qualcosa di
universale e di identico in tutte le cose o qualcosa di separato». L’«essere»
non è un genere: esso è sempre in riferimento alla cosa che concretamente
esiste.
L'unicità dell'essere, in quanto sostanza o l'essere in sé, coincide senz'altro con la ricerca della causa prima: il più grande pregiudizio di tutti i filosofi, a iniziare dai presocratici.
RispondiEliminaPensa ad quantità ingenerare, se speri di superare un giorno il monismo metafisico professato da Parmenide.
Non a caso il primo segno attribuito all'essere da Parmenide è quello della sua ingenerabilitá (con l'argomento dell'improduttiva del nulla, approfondito poco dopo da Melissa, tralasciando l'i improduttività del non movimento: e con ciò l'ingegnerabilitá della nozione di movimento come aveva argomento Parmenide a proposito del concetto che aveva creato, smentito a sua volta da Aristotele con la ricongiunzione di due termini che si escludono a vicenda in una rappresentazione o construtto mentale, quale è di fatto "il motore immobile".