venerdì 10 ottobre 2014

EUTANASIA


«Eutanasia»: «la bella morte», «la buona morte»; naturale, tranquilla, serena. È stata la morte di molti. Oggi, però, questa parola indica l'intervento di estranei che consentono a qualcuno di morire evitandogli il più possibile la sofferenza. 
Una persona che per qualsiasi motivo decida di propria iniziativa di dare una buona morte ad un'altra persona è un omicida da perseguire secondo la legislazione vigente nei Paesi civili. C' è però un caso, un «unico» caso, in cui il problema non è di così semplice soluzione. E’ il caso in cui qualcuno, volendo morire perché la sofferenza grava su di lui in modo insopportabile, non ha però la capacità fisica di darsi la morte. 
Certo, anche il suicidio è una forma di omicidio. Per alcune configurazioni del pensiero Filosofico o per il Cristianesimo (ma si possono fare altri esempi) il suicida è colpevole. I motivi, però, per cui lo si considera colpevole possono lasciare perplessi. Quando ad esempio si dice che la vita è un dono di Dio e che solo lui può toglierla, il pensiero corre al nostro modo di donare, cioè al fatto che, di solito, quando doniamo qualcosa evitiamo invece di riprendercela. 
Un tempo, in molte legislazioni europee il suicidio era considerato un reato. Se chi agiva per sopprimersi falliva nel suo intento, cioè sopravviveva, egli era perseguibile penalmente. Oggi non più. Per molte forme di cultura il suicidio rimane una colpa morale, che merita sì sanzioni ultraterrene ma non più , qualora non riesca nel suo intento, meritare sanzioni terrene. 
Anche per la normativa italiana il suicida mancato non è giuridicamente colpevole. Ed è a questo punto che la nostra legislazione e quelle similari mostrano una palese contraddizione in se stesse. Trattano cioè diversamente chi dovrebbe essere invece trattato nello stesso modo perché la legge è uguale per tutti. Trattano cioè diversamente chi, avendone la capacità fisica, può darsi la morte, e chi invece non ha la capacità fisica di farlo ma lo desidera intensamente. Trattano diversamente coloro che sono uguali di fronte alla legge, perché proibendo l'Eutanasia, toglie la libertà di darsi la morte soltanto a quelli che sono incapaci di morire da soli. 
Se la legge vuol essere coerente deve dunque o ripristinare la perseguibilità giuridica del suicidio, e quindi punire chi aiuta il suicida a darsi la morte, oppure deve riconoscere a tutti la libertà di darsi la morte quando per essi la vita sia diventata insopportabile, e quindi non deve punire chi aiuta il suicida (e deve tuttavia anche rispettare la coscienza di chi non intenda prestare un aiuto siffatto). 
Si rileva, pertanto, una contraddizione che, rispetto all'Eutanasia, è presente in una normativa come la nostra. Non solo, ma quanto si  rileva lascia aperto il problema di come si possa essere sicuri che, per chi mostra di avere la vita «in gran superbo disprezzo», la vita, per lui, sia davvero tale.

Nessun commento:

Posta un commento