giovedì 30 ottobre 2014

MORALE CATTOLICA E MORALE LAICA (CAP.2)


A proposito della «Fecondazione Eterologa» i parlamentari Cattolici hanno da tempo valorizzato l' argomento che la esclude per i gravi disagi mentali e affettivi a cui andrebbe incontro il bambino quando venisse a sapere di essere figlio di più di due genitori. Poiché in alternativa a tali disagi non rimane altro che impedire la nascita di chi li patirebbe, ne viene che anche i nemici della manipolazione genetica svolgono molto sul serio la funzione di «Designer» dell'uomo futuro. Non è infatti uno scherzo decidere che certi individui umani non debbano nascere, e debbano per tanto rimanere un «Nulla» per sempre, qualora siano fatti nascere con procedure contrarie alla «Morale Cattolica». 
In campo Laico è in circolazione un argomento analogo a quello qui sopra indicato. Questa volta il bersaglio è l' «Eugenetica» con scopi terapeutici. Il Filosofo Jürgen Habermas osserva che, in una società dove si adottassero le strategie del miglioramento del patrimonio ereditario, l'individuo che fosse il loro prodotto potrebbe, prima o poi, non condividere le scelte fatte dai suoi «Designer» e trovarsi a disagio per le doti fornitegli da costoro. Anche bellezza, forza, intelligenza, bontà, di cui può essere dotato un individuo, possono procurargli gravi e imprevedibili inconvenienti. Meglio sarebbe stato, per lui, esser meno pregevole. Il fulmine colpisce i rami più alti. Anche questo argomento laico fa leva sui disagi di cui può patire l'individuo che sia stato prodotto dall' «Ingegneria genetica». 
Ma sia questo sia quell'altro cattolico sono argomenti che non concludono. Se infatti il loro fondamento è la «Volontà» di evitare certi disagi all'individuo geneticamente manipolato, tale «Volontà» non raggiunge il suo scopo. 
All'argomento cattolico si può infatti replicare dicendo che, se l'alternativa al disagio dell'individuo anti cattolicamente programmato è che egli non abbia proprio a nascere e abbia a rimanere un «Nulla» per sempre, allora l'individuo che, così programmato fosse nato, potrebbe anche dichiarare (lui o chi per esso) che un disagio infinitamente maggiore gliela procura il pensiero di aver corso il rischio di rimanere un «Nulla» per sempre, in omaggio alla «Morale cattolica». (Non diceva Agostino che l' uomo preferirebbe la «Dannazione Eterna» al rimanere «Eternamente un Nulla»?). Nemmeno le procedure genetiche cattolicamente corrette tolgono dunque il disagio nei più o meno direttamente interessati. 
All'argomento laico si può replicare in modo analogo. In una società che per le sue capacità tecnologiche può somministrare ai nascituri quel ben di Dio di doti di cui prima si parlava, l' individuo, una volta nato, può certo valutare negativamente le qualità con cui i suoi genitori, elargendogliele, credevano di renderlo felice. Un po' schizzinoso, sì, e tuttavia, certo, in diritto di esserlo. Ma a parte il fatto che la dotazione genetica potrebbe includere anche la dote di non essere schizzinosi circa la dote ricevuta, si pensi ora a quel che può accadere a un individuo a cui, in base alla loro «Morale laica», i genitori non avessero dato quelle doti di cui invece quell'altro individuo, proprietario di esse, si lamentava. Non potrebbe egli rimproverarli, e ben più aspramente, di non avergli dato quella forza, bellezza, intelligenza, bontà che essi pur avevano la capacità di fargli avere modificandone il «genoma»? Non potrebbe trovarsi in un disagio ben più grave di quello del suo collega forse un po' schizzinoso? 
La Morale, laica o religiosa, deve trovare argomenti più convincenti per arginare la «Tecnica» e pretendere di guidarla. (vedi Pubbl. Genn.e Febbr. 2014  in merito alla Tecnica)

giovedì 23 ottobre 2014

MORALE CATTOLICA E MORALE LAICA (CAP.1)


La Morale cattolica proibisce «l'Aborto»; tuttavia proibisce anche la «Fecondazione artificiale» per il motivo che non si deve far nascere un individuo che non potrà crescere in una famiglia normale. Per le Morali laiche, invece, quando il Feto presenta gravi menomazioni «l'Aborto» e' consentito. Cioè non si deve far nascere un individuo umano che quasi sicuramente sarà infelice e renderà infelici. Non si viene dunque a dire, in entrambe le prospettive, che in certe circostanze viene impedita la nascita di un uomo? Ma con questa domanda non si sta anche tentando di introdurre una troppo grossolana consonanza tra le due prospettive? Giacché la prima (cattolica) impedisce la nascita di un essere umano che ancora non esiste; mentre la seconda (Laica), sostenendo «l'Aborto», sopprime un essere umano che già esiste. (vedi anche pubbl. Sett. e Ott. 2014 Embrione e Aborto
Nel primo caso non c'e' omicidio, nel secondo sì . A questo punto la «Morale laica» ha certo da replicare. Ma da entrambe le parti si perde di vista lo sfondo che da' «Senso» e sta al fondamento della discussione. Entrambe danno infatti per scontato che non vi sia alcunché da indagare sul significato dell'esistere che qui sopra ha fatto la sua comparsa insieme all'omicidio. E invece quel significato e' un abisso che si spalanca sotto i piedi dei contendenti. Che significa oggi affermare che un essere umano ancora non esiste? Un essere umano ancora non esiste quando ancora e' un «Nulla». 
Morale cattolica e Morale laica, impedendo alla nascita di un uomo per i differenti e contrapposti motivi sopra richiamati, affermano dunque che in certi casi si deve trattenere nel «Nulla» un essere umano. Vivrai al di fuori della famiglia naturale, chiede la «Morale cattolica». Meglio allora che tu rimanga nel «Nulla»! Vivrai menomato e infelice, chiede la «Morale laica». Meglio allora che tu rimanga nel «Nulla»! E non provvisoriamente, ma eternamente, perché quando passa l'attimo che ti avrebbe generato, l'attimo successivo non genera più te, ma un altro essere umano. 
La consonanza tra le due contrapposte morali riguarda un terreno più profondo di quello dove esse si scontrano. L'omicidio toglie l'esistenza; fa diventare «Nulla» un essere umano esistente. Ma in qualche modo, l'omicidio e' generoso: concede all'uomo, prima di sopprimerlo, un tempo di esistenza più o meno lungo. Per il Cristianesimo la generosità dell'omicidio e' poi ancora maggiore, perché l'omicidio non impedisce che chi e' ucciso abbia la vita eterna , e' felice, se egli e' vissuto bene. Spaventosamente ingeneroso e' invece quell'altro discorso delle contrapposte ma consonanti morali. 
La Morale e' infinitamente più ingenerosa dell'omicidio, perché non si limita a spingere nel «Nulla» un essere al quale e' stata concessa una certa quantità di esistenza, ma vuole che un essere umano rimanga eternamente nel «Nulla», eternamente e totalmente escluso dall'esistenza. E questa non e' forse una forma infinitamente più radicale di omicidio? Anzi, la più radicale? (E se un Dio, creando, lascia nel «Nulla» certe creature, non si dovrà dire che anche lui, e soprattutto lui, e' legato a quella forma di omicidio?). Chi esiste non può prendere il posto di chi ancora non esiste e decidere che per quest'ultimo e' meglio restare eternamente nel «Nulla». Le considerazioni in cui ci siamo imbattuti non forniscono soluzioni, ma complicano il discorso di chi ha troppa fretta. Eppure come e' strano il «Nulla» di cui parla tutto il pensiero dell'Occidente! E' «Nulla»; ma insieme e' la possibilità di tutto ciò' che incomincia ad esistere , giacché se il «Nulla» fosse l'impossibilita' di esistere, nessuna cosa che ancora e' «Nulla» potrebbe incominciare ad esistere. 
Ma la possibilità dell'esistenza non e' un «Nulla» assoluto! Sì che il «Nulla» a cui concordemente si rivolgono le contrapposte morali, e' un assurdo: e' un che di assolutamente nullo e insieme (in quanto possibilità) e' qualcosa di positivo, cioè di «Non-Nullo». E in quanto l'uomo possibile che e' ancora nel «Nulla» e' un che di positivo, come negargli oggi diritto all'esistenza? Le complicazioni crescono.

venerdì 17 ottobre 2014

CREMAZIONE


I dati più certi riguardano Milano. Ma sembra che possano essere estesi a tutta l'Italia settentrionale. Al Nord la volontà di far cremare il proprio cadavere sta crescendo molto più rapidamente che al Sud. I motivi sono diversi. Ad esempio, quella volontà può esprimere il desiderio di semplificare i rapporti con i vivi. Forse si è sperimentata e comunque ci si è convinti dell'esteriorità delle forme tradizionali dell'inumazione e sparendo nel fuoco si aspira ad essere presenti in modo più autentico nella coscienza dei vivi. Forse perché i vivi li si è amati poco e quindi non interessa nemmeno quel loro più o meno apparente rimpianto che è più visibile nell'inumazione che nella cremazione. (Senza con ciò escludere che si possa esser pieni di amore e insieme desiderare la cremazione). E queste convinzioni possono prendere più piede al Nord industrializzato, dove la complessità dei rapporti sociali è maggiore, quindi maggiore l'aspirazione alle semplificazioni, e dove la cultura contadina e il calore dei rapporti familiari del Sud sono andati illanguidendo. 
Ma oltre a molti altri, un motivo può essere anche una sorta di vendetta verso la vita: è probabilmente più raro, ma più sintomatico e destinato a crescer di più. Ci si vendica della vita che, quel poco che ha dato, lo ha dato male e lo ha tolto presto; e allora non le si vuole lasciar nulla, si vuole incenerire e annientare perfino il proprio cadavere. In questo caso, il riscontrato aumento dei suicidi andrebbe messo in relazione alla crescita delle cremazioni. Che si presentano come «forme» di suicidio da parte di chi vivendo non è riuscito a uccidersi, e deluso dalla propria esistenza la vuole soppressa, incenerendo perfino quel barlume di vita biologica che ancora per un poco rimane nel cadavere. Più sintomatico, questo motivo della volontà di farsi cremare, perché più degli altri è segno dei tempi. Segno della «desacralizzazione» crescente. 
In questa direzione ci si spiega perché la Chiesa abbia per lungo tempo proibito la cremazione. Propriamente, la proibizione si riferiva al «sottinteso» che stava alla base della volontà di far cremare il proprio cadavere : il «sottinteso» dell'inesistenza della Resurrezione della carne. Poiché non c' è Resurrezione, il cadavere può diventar cenere e nulla. E poiché il cadavere può diventar cenere non c' è Resurrezione. 
Ma chi non crede nella Resurrezione e si fa Cremare intende appunto dar vita a una forma di suicidio: uccide la propria speranza di sopravvivenza. La uccide perché la ritiene una fola, una favola, una «barzelletta». 
Vanno allora forse meglio le cose col vecchio Dio veterotestamentario? Questo Dio dice ad Adamo, che ha peccato: «Sei polvere e tornerai ad esser polvere». Polvere : Cenere. Adamo esce dalla Cenere ed è destinato a ritornarvi. Esce dalla cremazione teurgica e a tale cremazione è destinato a ritornare. La teurgia inceneritrice concepisce l'uomo come un «nulla» originario, come qualcosa che «di per sé» è «nulla», Cenere. 
Questo modo di pensare del Dio (cioè di chi evoca questo Dio) uccide due volte Adamo, l'uomo. Una prima volta perché , aprendo la strada che poi sarà percorsa dalla forme dominanti della civiltà , concepisce l'uomo come Cenere. Una seconda volta perché lo vede come qualcosa che di per sé è destinato alla Cenere. 
Perché meravigliarsi se, all'interno di questo modo di pensare, cresce la convinzione che le cose tutte e l'uomo siano «nulla»; e perché meravigliarsi se l'uomo sente sempre più il richiamo del «nulla» che sempre più a gran voce gli chiede di annientarsi? 
Eppure nel fondo di ognuno di noi un'altra voce, quella autentica, dice che l'uomo non è Cenere, ma è eternamente salvo dal «nulla» e che la sua è la morte di chi, pur morendo, in quella salvezza eternamente permane .

venerdì 10 ottobre 2014

EUTANASIA


«Eutanasia»: «la bella morte», «la buona morte»; naturale, tranquilla, serena. È stata la morte di molti. Oggi, però, questa parola indica l'intervento di estranei che consentono a qualcuno di morire evitandogli il più possibile la sofferenza. 
Una persona che per qualsiasi motivo decida di propria iniziativa di dare una buona morte ad un'altra persona è un omicida da perseguire secondo la legislazione vigente nei Paesi civili. C' è però un caso, un «unico» caso, in cui il problema non è di così semplice soluzione. E’ il caso in cui qualcuno, volendo morire perché la sofferenza grava su di lui in modo insopportabile, non ha però la capacità fisica di darsi la morte. 
Certo, anche il suicidio è una forma di omicidio. Per alcune configurazioni del pensiero Filosofico o per il Cristianesimo (ma si possono fare altri esempi) il suicida è colpevole. I motivi, però, per cui lo si considera colpevole possono lasciare perplessi. Quando ad esempio si dice che la vita è un dono di Dio e che solo lui può toglierla, il pensiero corre al nostro modo di donare, cioè al fatto che, di solito, quando doniamo qualcosa evitiamo invece di riprendercela. 
Un tempo, in molte legislazioni europee il suicidio era considerato un reato. Se chi agiva per sopprimersi falliva nel suo intento, cioè sopravviveva, egli era perseguibile penalmente. Oggi non più. Per molte forme di cultura il suicidio rimane una colpa morale, che merita sì sanzioni ultraterrene ma non più , qualora non riesca nel suo intento, meritare sanzioni terrene. 
Anche per la normativa italiana il suicida mancato non è giuridicamente colpevole. Ed è a questo punto che la nostra legislazione e quelle similari mostrano una palese contraddizione in se stesse. Trattano cioè diversamente chi dovrebbe essere invece trattato nello stesso modo perché la legge è uguale per tutti. Trattano cioè diversamente chi, avendone la capacità fisica, può darsi la morte, e chi invece non ha la capacità fisica di farlo ma lo desidera intensamente. Trattano diversamente coloro che sono uguali di fronte alla legge, perché proibendo l'Eutanasia, toglie la libertà di darsi la morte soltanto a quelli che sono incapaci di morire da soli. 
Se la legge vuol essere coerente deve dunque o ripristinare la perseguibilità giuridica del suicidio, e quindi punire chi aiuta il suicida a darsi la morte, oppure deve riconoscere a tutti la libertà di darsi la morte quando per essi la vita sia diventata insopportabile, e quindi non deve punire chi aiuta il suicida (e deve tuttavia anche rispettare la coscienza di chi non intenda prestare un aiuto siffatto). 
Si rileva, pertanto, una contraddizione che, rispetto all'Eutanasia, è presente in una normativa come la nostra. Non solo, ma quanto si  rileva lascia aperto il problema di come si possa essere sicuri che, per chi mostra di avere la vita «in gran superbo disprezzo», la vita, per lui, sia davvero tale.

domenica 5 ottobre 2014

ABORTO E BENE COMUNE DELLA SOCIETA'


Tre milioni e mezzo di bimbi a cui in vent'anni la legislazione italiana sull'«Aborto» ha impedito di nascere. Tre milioni e mezzo di donne che in questi vent'anni (1978-1998) hanno dovuto compiere una delle scelte più difficili. Un fatto altrettanto drammatico. Gran parte di loro, senza l'assistenza ospedaliera prevista dalla legge, avrebbe avuto una salute compromessa o sarebbe andata incontro alla morte. Chi salvare? La «Morale» e' in contrasto con se stessa. Quando si parla di «Aborto» non sempre si ricorda che alla base della Morale della Chiesa sta il principio del «Bene Comune della società». Tale principio deve prevalere sui vantaggi individuali anche quando il vantaggio e' la vita stessa dell'individuo. 
Per esempio, la pena di morte e' tuttora accettata in linea di principio dalla Chiesa quando e' il «Bene Comune della società» a richiederne l'applicazione. Meglio la morte di uno o più individui, piuttosto che sia minacciata la vita della società intera. La pena di morte rimane però un omicidio anche quando e' approvata dalla Chiesa. Rimane una violazione di quell'inviolabile diritto alla vita che per la Chiesa compete a ogni individuo. Il diritto alla vita da parte della società si trova pertanto in contraddizione col diritto alla vita che spetta anche a chi minaccia gravemente la società. 
Che ognuno abbia diritto alla vita appartiene per la Chiesa al «Bene Comune della società». Ma che a qualcuno, in certe circostanze, la società tolga la vita, appartiene ancora per la Chiesa, al «Bene Comune». Lo stesso contrasto tra diritti diversi e' presente nell'accettazione da parte della Chiesa della guerra giusta. Da un lato il «Bene Comune» esige il sacrificio di vite umane, cioè la violazione del diritto alla vita di un gran numero di individui; dall'altro lato il «Bene Comune della società» esige, come si e' detto, che nessuna vita sia sacrificata. Anche qui, il «Bene Comune» e' in contraddizione con se stesso. Ma l'esistenza di una volontà siffatta non significa che questa contraddizione sia venuta meno. La stessa aporia (contraddizione) si ripresenta con l'«Aborto». 
L’ «Aborto» Deve essere proibito dalle leggi dello Stato, sostiene la Chiesa, perché il «Bene Comune» esige il rispetto della vita di ognuno, dunque anche dell'essere umano in formazione. Ma non e' buona nemmeno una Società Antiabortista dove, in vent'anni (1978-1998), tre milioni e mezzo di donne (soprattutto quelle meno agiate) si trovano a dover rischiare la loro salute, o addirittura la loro vita, affrontando l'Aborto clandestino o portando a termine gravidanze pericolose o indesiderate. 
Certo, in quest'ultimo discorso la Chiesa non riconosce più se stessa, ma se il «Bene Comune» esige che ogni individuo abbia diritto alla vita, in certi casi l'«Aborto» può configurarsi come legittima difesa della donna contro una vita estranea e non voluta che le piomba addosso e le si vuole abbarbicare, stabilirsi e unire per sempre e soffocarla in modo tanto più tragico quanto più innocente e' la vita che chiede di venire alla luce. 
Ma se la Chiesa accetta in linea di principio la morte in una guerra giusta e la pena di morte, essa viene a riconoscere che il diritto alla vita non e' inviolabile e può essere quindi subordinato ad altri valori, considerati come l'autentico «Bene Comune». La Chiesa si trova quindi impegnata a mostrare ciò che finora non ha ancora mostrato: per quale motivo l'«Aborto» non possa essere assimilato, in linea di principio, alla morte in guerra o alla pena di morte: per quale motivo il «diritto alla vita» da parte del nascituro non possa essere subordinato ad altri valori, come e' lecito che avvenga, secondo la Chiesa, quando si muore in guerra o condannati dalla società. 
L'Aborto appartiene (indegnamente) alla categoria del controllo demografico, dove sono in gioco le sorti dell'umanità. Esse esigono che a interi popoli di candidati all'esistenza sia impedito di nascere. Quale «Bene Comune» e' più comune della sopravvivenza dell'umanità? Non dovrà la Chiesa ripensare, in vista di questo supremo «Bene Comune», la sua avversione per ogni forma non naturale di limitazione delle nascite (fermo restando che l'Aborto e' quella peggiore)? Non dovrà riconoscere che come la vita degli uomini può essere sacrificata al Bene Superiore delle singole società, così e a maggior ragione può essere sacrificata al «Bene Supremo dell'umanità?»