sabato 2 marzo 2019

LETTERA AGLI EFESINI



In alcuni importanti codici antichi, che ci hanno trasmesso le sacre Scritture, nell’indirizzo iniziale di questa lettera manca l’indicazione «a Efeso», per cui si è pensato che essa sia stata originariamente una missiva destinata alle varie Chiese dell’Asia Minore costiera, che avevano il loro centro più significativo nella splendida città di Efeso. Certo è che la lettera si rivela profondamente originale nel linguaggio e nei temi, tanto da far ipotizzare a molti studiosi che essa sia opera di una mano diversa rispetto a quella di Paolo, forse un discepolo che conduce oltre il discorso del maestro. Questo naturalmente non intaccherebbe l’ispirazione e quindi l’appartenenza al Canone biblico della lettera che, tra l’altro, è molto vicina a quella ai Colossesi (probabilmente conosciuta e citata).

Comunque sia, lo scritto è particolarmente denso e ricco di temi e si rivela nettamente diviso in due parti: i primi tre capitoli affrontano i grandi argomenti teologici, mentre i capitoli 4-6 sono dedicati a illustrare l’impegno morale del cristiano nella sua vita di fede. L’accento è posto su due motivi teologici capitali. Da un lato, si apre una profonda riflessione sulla figura di Cristo, presentato come Signore di tutto l’essere creato e non solo della Chiesa, e cantato in un solenne inno-benedizione posto proprio in apertura alla lettera (1,3-14).

Gesù Cristo è, d’altro lato, alla radice del secondo motivo teologico, quello della Chiesa, che è costituita da Giudei e pagani ormai uniti in un solo corpo che è quello di Cristo, nel quale, però, diversamente da quanto già detto nella prima lettera ai Corinzi (capitolo 12), egli ha la funzione di essere il «capo» (1,22). L’unità di questo corpo, nel quale si manifesta la pienezza della divinità, è operata da Cristo stesso «nostra pace», che ha riconciliato i due popoli separati, Ebrei e pagani, in un solo popolo attraverso il suo sangue (2,14-22). È questa la Chiesa, che dall’apostolo viene presentata come «tempio santo nel Signore» (2,21).

Vivace è anche la parte pastorale della lettera ove, tra l’altro, viene disegnato un “codice” dei doveri familiari (5,21-6,9), che ha al suo interno una suggestiva presentazione del matrimonio cristiano, come grande segno dell’unione vitale tra Cristo e la Chiesa. Uno scritto, quindi, ricco sul piano del «mistero» divino, che è rivelato da Gesù Cristo e che comprende la salvezza di tutti, inclusi i pagani, e sul piano della vita cristiana da condurre in pienezza, come creature che hanno «deposto l’uomo vecchio» per «rivestire l’uomo nuovo» (4,22-24).

Nota Finale

Intorno a questa lettera si è discusso e si discute ancora su due punti: la sua autenticità paolina (vocabolario, stile, dottrina sono notevolmente diversi da quelli delle altre lettere) e i destinatari (una vera lettera per la sola comunità di Efeso, o piuttosto una specie di enciclica per tutte le Chiese dell’Asia Minore?). In realtà, l’affinità con la lettera ai Colossesi, la cui autenticità è oggi riconosciuta, obbliga a riconoscere la paternità paolina anche della lettera agli Efesini. L’apostolo vi proclama innanzi tutto il “primato cosmico” di Cristo, che ha unificato in sé stesso tutte le cose come principio e fine sia della creazione sia della riconciliazione, e poi la “funzione ecumenica” di Cristo, che ha riunito tutti gli uomini, Giudei e pagani, nel suo corpo che è la Chiesa, sua sposa. Questo è il grande “mistero” del quale Paolo vuole scrivere, con toni spesso altamente lirici, mentre si trova per la prima volta “prigioniero per Cristo” a Roma (61-63 d.C.).



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