sabato 9 marzo 2019

LETTERA AI FILIPPESI



La comunità dei cristiani di Filippi in Macedonia fu la prima Chiesa europea e con essa Paolo mantenne sempre rapporti molto intensi e calorosi. Ad essa indirizza una lettera mentre si trova in carcere (1,3.13; 4,22). Più che a Roma o a Cesarea Marittima, molti pensano che si tratti di una prigionia subita da Paolo dopo i tumulti di Efeso, descritti negli Atti degli Apostoli (capitolo 19). Dalla città efesina egli scrive attorno al 55-56 (là aveva soggiornato a lungo, forse dal 53 al 56) agli amati Filippesi, che l’avevano sempre aiutato anche economicamente (4,14-18).

La lettera rivela, però, nel capitolo 3 un salto di tonalità, divenendo improvvisamente molto aspra e polemica («guardatevi dai cani…, dai cattivi operatori…, da quelli che si fanno circoncidere»): c’è persino chi ha pensato che siamo in presenza di lettere diverse indirizzate ai Filippesi e successivamente unificate in un solo scritto. Possiamo, però, supporre anche un mutare di tono e di argomento nello stile spesso impetuoso dell’apostolo. La lettera si apre, comunque, con una pagina a grande respiro, in cui Paolo presenta la sua esistenza come totalmente consacrata a Cristo e al vangelo: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (1,21).

Di grande rilievo teologico è l’inno che viene incastonato in 2,6-11 e che sembra far parte del patrimonio della liturgia cristiana delle origini. Attraverso l’immagine della “discesa” del Figlio di Dio nell’umanità fino alla morte di croce e della sua esaltazione nella gloria pasquale a Signore di tutto l’essere si descrive la salvezza offerta da Cristo, modello di donazione anche per il cristiano.

Nel capitolo 3, invece, appare – come già si era annunziato – la denuncia nei confronti di quei «cani» e «cattivi operatori» (3,2) che vogliono riportare i cristiani al loro passato di pratiche e osservanze varie: è la polemica frequente nell’epistolario paolino contro quei giudeo-cristiani che non tutelavano a sufficienza la novità dell’evento cristiano. Paolo sottolinea le sue radici umane e spirituali ebraiche (3,5-6), ma indica anche la svolta radicale che la sua vita ha subito quando fu «afferrato da Gesù Cristo» (3,12) sulla via di Damasco. La lettera si conclude nel capitolo 4 con la ripresa di elementi autobiografici che si intrecciano con quelli riguardanti la Chiesa di Filippi. Ritorna il tono dolce, affettuoso dell’apostolo nei confronti della sua comunità, e brilla la gioia che deve animare il cristiano, anche quando ha l’esistenza tormentata: allora «il Dio della pace sarà con voi» (4,9).  

Nota Finale

Anche questa lettera è scritta da Paolo mentre si trova in prigionia, non però a Roma, come si pensava un tempo, bensì a Efeso. Da questa città, verso il 56-57 d.C., l’apostolo scrive alla comunità di Filippi, prima Chiesa europea, da lui fondata nel 50 d.C. durante il suo secondo viaggio missionario. Con questa Chiesa Paolo intrattiene particolari legami d’affetto e a essa scrive una lettera piena di gioia e di cordialità, che affida al delegato della comunità di Filippi, Epafrodito, che è venuto a Efeso per portargli degli aiuti. È la lettera “più lettera” di tutto l’epistolario paolino: scambio di notizie, messa in guardia contro i soliti mestatori giudaizzanti, inviti all’umiltà sull’esempio di Cristo, esempio che viene illustrato con un inno liturgico molto antico, preziosa testimonianza della fede nella preesistenza divina del Figlio di Dio fatto uomo. Scritta col cuore, questa lettera va letta col cuore.



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