sabato 7 ottobre 2017

LA FILOSOFIA DI PLOTINO (PREMESSA)


La filosofia di Plotino, che rappresenta l’ultima grande sintesi del pensiero greco, ha in comune con la gnosi uno sfondo di consonanze con la saggezza d’Oriente, ma, a differenza del pensiero gnostico, la «convergenza» si esprime in Plotino come «traduzione» della sapienza orientale nelle categorie tipiche del pensiero greco. 

L’espansione dell’impero aveva convogliato a Roma, dove Plotino insegnava nella prima metà del III secolo d.C., una serie di credenze astrologiche, di pratiche teurgiche e di appelli a esperienze mistiche che Plotino accolse ricodificandole in una costruzione filosofica in grado di giustificare razionalmente il valore di un atto surrezionale (nel diritto canonico, reticenza nella esposizione dei fatti commessa nella richiesta di un rescritto, di un  responso scritto dell’autorità ecclesiastica relativo alla concessione di una grazia o alla soluzione di una controversia) che consentisse di approdare all’ineffabilità dell’«Uno» originario. 

Questo itinerario, che è identico a quello che animava la speculazione gnostica, viene purificato da quella profusione di immagini e da quella foresta di simboli attraverso cui la gnosi si era espressa, e ancorato alla dottrina del Bene-Uno che Platone aveva tratteggiato nel “Parmenide”. Di qui la denominazione di “Neoplatonismo” che risponde da un lato all’intenzione di Plotino che si propone come semplice esegeta della filosofia di Platone (Ennedi, I, 8), dall’altro al significato teoretico e storico che la sua filosofia andrà assumendo come riproposta del primato del pensiero greco, o più semplicemente platonico, rispetto alle altre forme di fede e di speculazione. 

L’esigenza dell’unità originaria era stata promossa nel pensiero greco dalla speculazione di Parmenide e dalla dottrina pitagorica della “monade”. Con Platone il problema dell’«Uno» viene fatto reagire con l’esperienza del «molteplice» le cui espressioni che vanno dalle «idee» come fondamento dell’intelligibilità delle cose, alle «anime» come principio della vita e del movimento, alla «materia» come matrice irrazionale delle apparenze, offrono a Plotino le strutture del suo impianto metafisico che trova la sua interna connessione nella dottrina dell’«emanazione» (apórroia) che salva l’unità e la continuità delle distinzioni. 

Per Platone e Aristotele, Dio e la materia erano infatti due principi originari, non connessi tra loro da alcun principio creazionistico. Ciò determinava da un lato che, se la materia è indipendente da Dio, Dio “manca” di qualcosa, e, in quanto mancanza, non può essere, per usare i termini aristotelici, «atto puro», ma «essere in potenza» rispetto alla materia che gode di una sua entità e indipendenza. Per risolvere questa contraddizione Plotino introduce il concetto di “emanazione”, per cui la materia «procede» da Dio non per un “atto creativo”, ma per un atto che potremmo definire “diffusivo”. La «creazione», infatti, implica una “produzione dal nulla”, e per Plotino, così come per l’intera mentalità greca, dal nulla non viene nulla ( ex nihilo nihil fit).  

La processione della materia da Dio avverrà allora per “emanazione” simile alla luce che si espande intorno alla fonte luminosa, al calore che si diffonde intorno al corpo caldo, al profumo che si diparte dal corpo odoroso affievolendosi col progressivo distanziarsi. La materia è l’estremo limite del propagarsi della luce che emana dall’«Uno» originario e che “non può non emanare”, essendo la luce di per sé diffusiva. In tal modo l’instaurarsi delle differenze non contraddice l’esigenza dell’unità e quindi la continuità (sunécheia) del reale.   


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