domenica 15 ottobre 2017

PLOTINO E LE TRE IPÓSTASI


Il pensiero conosce solo in quanto definisce, distingue e discrimina, cioè solo in quanto si articola in seno alle distinzioni logiche e alla molteplicità. Ma nel pensiero si avverte una tensione che trascende ogni oggetto finito e ogni sistemazione raggiunta. Questa tensione porta al di là delle distinzioni inaugurate dal pensiero verso quell’«Uno in sé» che, non potendo essere raggiunto da alcuna conoscenza e da alcun linguaggio, perché questi hanno sempre come contenuto la distinzione che è separazione, è inconoscibile e inafferrabile (ágnoston kaì árreton). 

La speculazione di Plotino non prevede soltanto, come il dialogo platonico, la presenza di un “lógos” razionale e definibile, ma anche e soprattutto una totalità inesprimibile che condiziona gli atti intellettivi e ne è insieme la conclusione e il fine. A differenza del misticismo di provenienza orientale, che aveva percorso alcuni dei molteplici filoni gnostici, il misticismo di Plotino non è solo il culmine della sua filosofia, ma ne è la condizione vitale; l’«essere» nel suo fondo è mistero, ma non si arriva a “ri-conoscere” il mistero se prima non si “conosce” il senso dell’«essere». 

Il pensiero (Nous) che pensa l’«Uno» si pone fuori di esso, perché già vive l’ “alterità” di pensante e pensato. Il pensiero è l’«ipostasi» generata dalla sovrabbondanza dell’«Uno». «Ipostasi» è parola greca che significa «ciò che sta sotto», e il pensiero è appunto ciò che sta sotto la molteplicità delle idee che, nel loro insieme, costituiscono il “mondo noetico” che vive dell’ “alterità” tra pensante (Nous) e pensato (Einai).

ll Dio che Aristotele concepiva come pensiero del pensiero (nóesis noéseos) viene così da Plotino depotenziato a seconda ipostasi, dopo quella originaria dell’«Uno in sé» che non ospita distinzioni. Dal pensiero procede l’anima (psyché) che non rende ragione né dell’unità né dell’intelligibilità, ma della vita e del movimento. Essa quindi non è né l’«Uno» né il «Nous», ma quell’intermedio (metaxú) tra l’«essere» e la realtà sensibile che da lui procede. L’anima, infatti, è l’ultima delle ipostasi; dopo di lei non c’è che apparenza e «non-essere». 

La doppia concezione che Platone ha dell’anima come capacità di astrarre dal sensibile per cogliere le idee nella loro essenza (Fedone e Repubblica), e come principio psichico che genera vita (Fedro e Simposio) trova il suo sviluppo nella speculazione di Plotino dove l’anima, in quanto dipende dal Nous e ne partecipa, è soggetto di conoscenza e, come tale, si inserisce nel mondo noetico che è fuori del tempo, mentre, in quanto è per sua natura principio di vita, diventa condizione del processo generativo che si svolge nel tempo. 

Il mondo sensibile è opera dell’anima che, come un inconscio artefice, molto simile al demiurgo di Platone, mentre contempla essenze intelligibili plasma parvenze corporee. Essa è natura (phýsis), e poiché la sua potenza produttiva si esplica in una successione di atti e movimenti, il tempo sorge insieme con essa. Non c’è quindi tempo nell’«Uno» originario e nel Nous che presiede il mondo delle idee eterne. 

Al limite estremo dell’emanazione divina incontriamo la materia che non è un’ipostasi, una realtà sostanziale, ma è quel «non-essere», quella mancanza di realtà simile alla tenebra che si produce per mancanza di luce. Se l’«Uno» è ineffabile perché è al di là di ogni definizione e distinzione, la materia è indefinibile per difetto di determinazioni. Essa è «pura aspirazione all’esistenza» che acquista spessore solo perché l’anima, per la sua parte inferiore, è cieca tensione verso l’esteriorità, è desiderio di perdersi nel mondo. In questa tensione e in questo desiderio è il male che, al pari della materia che lo ospita, non esiste come realtà opposta al bene, ma solo come privazione del bene. E l’uomo come non può pensare il «non-essere» assoluto, così non può volere il male assoluto (Ennedi, IV, 9, 11). 


    

1 commento:

  1. Se può interessarvi ho scritto un articolo che spiega come mai si dice che Dio Abramitico Gesù (Joshua) sia "generato e non creato", e come il concetto di "Dio che genera" sia stato rubato dal Platonismo.

    http://hokmaph-iperuranio.blogspot.com/2018/07/riprendiamoci-dio.html

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