sabato 23 maggio 2015

FRANCESCO PETRARCA


Promotore dell’umanesimo cristiano, che viene a costituirsi con la sua stessa opera, Petrarca, distaccandosi anche dottrinalmente dal Medioevo, tenterà la sintesi del Cristianesimo con l’antichità classica. La Sapienza classica e cristiana – Cicerone e Agostino sono i maestri del Petrarca –  è quella fondata sulla «meditazione interiore», indispensabile all’uomo per conseguire la «pace spirituale» in questa vita e la «beatitudine» nell’altra. 

Nella riflessione morale e letteraria, che, con sorprendente varietà di accenti, il Petrarca condusse nel corso della sua vita, c’è un punto che merita di esser considerato essenziale e, per l’intelligenza del suo pensiero, non meno che della sua personalità, decisivo. 

Con particolare intensità, sebbene, come diceva, fosse di ingegno piuttosto equilibrato che acuto, atto a coltivare la Filosofia morale e le belle lettere in luogo delle ardue questioni della Metafisica, il Petrarca avvertì infatti che fra il mondo intellettuale e morale nel quale amava vivere e ricercare e scrivere, e quello della vera e propria Filosofia s’era spalancato un abisso incolmabile e istituito un insanabile conflitto; e che, qualunque cosa dovesse poi pensarsi dell’uno e dell’altro termine, innanzi tutto convenisse accettarli quali erano, termini di un dissidio che invano si sarebbe sperato di poter comporre in una sintesi. 

A giudizio del Petrarca, e, quel che forse conta di più, nella concretezza delle sue conoscenze, e, addirittura, delle sue emozioni e passioni, mentre il polo filosofico appariva caratterizzato da asprezze di linguaggio, ineleganza, e da una sorta di intima disarmonia intellettuale, l’altro era invece in primo luogo costituito da una sintesi: nel cui interno era bensì possibile sorprendere contrasti non a pieno risolti, e varie disarmonie, ma che non di meno era una sintesi, un’armonia fondamentale, radicata nel convincimento che, con Cristo, fosse assai più facile mettere d’accordo Cicerone che non Aristotele. 

Il polo, insomma, al quale il Petrarca aderiva, che proprio mediante la sua opera era anzi stato costituito, era quello dell’«umanesimo cristiano»: ossia, occorre specificare contro possibili equivoci, di un umanesimo che, nel suo essere tale, e cioè fondato nell’esperienza viva della parola antica, trova il suo accordo con il Cristianesimo, del quale quindi non costituisce che una sorta di dimensione interna. 

E’ un punto, questo, importante, e sul quale è perciò necessario insistere: «umanesimo cristiano» non significa qui che ogni umanesimo è cristiano perché il Cristianesimo stesso è umanesimo. Ma significa bensì che con il Cristianesimo l’antichità classica può trovare un accordo, e che, conservando la sua essenziale caratteristica, può entrare nel suo ambito. 

Le opere nelle quali questo orientamento è espresso sono naturalmente scritte in Latino, non in «volgare». Diversamente da Dante, che del «volgare» si servì per comporre il Convivio, la Vita nova, le Rime, la stessa Commedia, e che il Latino riservò al trattato politico e ad altre minori scritture, al «volgare» il Petrarca non ricorse se non per comporre il Canzoniere, e all’altra lingua affidò il resto, non solo il poema che intitolò Africa, ma anche le sue raccolte di lettere e gli scritti ai quali è riservata l’esposizione del suo pensiero. 

Il posto preminente è tenuto, fra questi, dal Secretum, un’opera di discreta estensione, che, nella forma di un dialogo avente a protagonisti, da un lato, Sant’Agostino e, da un altro, l’autore stesso, svolge, sulla scorta di questo pensatore cristiano prediletto fra tutti, un’analisi assai varia e approfondita della vita interiore, che il Petrarca ripercorre con un senso delle sfumature, dei contrasti e anche delle ambiguità, con una capacità di avvertirle e, nello stesso tempo, di porle in evidenza col non risolverle, che di quest’opera fanno una specie di atto inaugurale, se non, come è stato detto tante volte, della «modernità», almeno di certi suoi essenziali aspetti. Assai meno di questa capacità conta, infatti, nel Secretum, la trama logica dell’argomentazione, o, se si preferisce, la tesi.

La qualità ultima della scrittura morale del Petrarca sta infatti proprio nell’ampio spazio che si apre fra il rigorismo a cui i discorsi agostiniani sono ispirati e le incertezze, vissute come «colpa», che esso suscita, e sembra ingigantire, nell’animo del Petrarca nell’atto stesso in cui le mette a nudo e le condanna: con la conseguenza che anche il maestro finisce, quasi involontariamente, per far risaltare quella tendenza all’autoanalisi perplessa, e incapace di risoluzione, che è tipica in effetti dell’atteggiamento petrarchesco, che non va esente, sotto questo riguardo, da un certo autocompiacimento. E non è vero, dunque, da questo punto di vista, o non è vero nel senso consueto e più ovvio, quel che tante volte è stato detto di questo atteggiamento del Petrarca che, nella sua oscillazione fra gli ideali ascetici e severi della pura contemplazione religiosa e l’inclinazione a dar ascolto alle contrastanti voci delle passioni terrestri, combatterebbe in se stesso la battaglia dell’antico e del nuovo, della «trascendenza» e dell’«immanenza», comparendo, nell’incertezza del risultato, uomo tanto del Medioevo quanto della nuova età.
  • Trascendenza; Il termine indica in primo luogo il carattere essenziale dell’Assoluto, sia nel senso che esso non è soggetto alle condizioni di esistenza del finito, sia nel senso  che esso oltrepassa i limiti della conoscenza umana. 
  • Immanenza; La situazione di una realtà in quanto intimamente legata ad un'altra, di cui generalmente costituisce le premesse e le garanzie di sviluppo e di affermazione. In Filosofia (contrapposto a Trascendenza), di ogni realtà in rapporto di coessenzialità con altre (di una medesima essenza, identico quanto all’essenza, specialmente come termine teologico). 
L’alternativa fra il rigore della vita ascetica e il richiamo della mondanità è per intero interna a questa volontà di autoanalisi, che costituisce, essa, l’autentica realtà del Petrarca, il quale, effettivamente, come non sente il primo valore, così, a rigore, non sente il secondo, e mai sceglierebbe l’uno contro l’altro. E lo si vede con chiarezza quando, ad esempio, si cerchi di indagare il suo pensiero politico: che del vero pensiero politico non ha la concretezza storica, e non ha la passione, e piuttosto è un sentimento generico di pace, di interiore libertà, di equilibrio etico e letterario da conseguirsi nella sicurezza del vivere: un sentimento, dunque, che, a sua volta, torna di continuo a prender la forma introspettiva, dell’introspezione senza fine e mai disposta, come si è detto, a trapassare in un risultato definitivo, che del Petrarca è la fondamentale caratteristica. 

Il consiglio che si fa rivolgere dal filosofo cristiano è che nella solitudine studiosa egli sappia ritrovare la massima morale atta ad illuminare e guidare la sua vita, essendo per altro fuori questione che le voci che, in tale solitudine, parleranno al suo spirito saranno quelle a lui care degli scrittori, non solo cristiani, ma anche, e sopra tutto, classici. 

Grande rappresentante dell’Umanesimo filologico, Petrarca vede negli studia humanitatis uno strumento efficace per creare una nuova cultura e una nuova concezione di vita. La sua biblioteca, ricchissima di codici preziosi, può esser guardata come luogo ideale in cui la filologia moderna nasce, specificandosi non solo come amore per la parola ricercata, ma soprattutto come coscienza della sua concreta storicità. 

E’ ben comprensibile che uno scrittore di questa qualità non potesse nutrire, nei confronti della Filosofia, la passione sperimentatrice che traversa e anima l’opera di Dante, l’ansia di placarla nell’assoluta contemplazione del tutto, che altresì è tipica del poeta della «Commedia». E anche è comprensibile che nella Filosofia il Petrarca avvertisse sopra tutto qualcosa di ostile alla causa, quale egli la intendeva, dell’uomo, e che, anche in questo mostrando la sua straordinaria capacità di anticipare in sé situazioni che sarebbero state al centro di tempi ancora non nati, essa entrasse in contrasto, innanzi tutto nella sua coscienza, con la disposizione a edificare la vita morale in un quadro di valori letterariamente atteggiati, e non privi altresì di un’intrinseca vena «edificante». 

Ad Aristotele, e a quanti ne professavano le dottrine, il Petrarca rimproverava essenzialmente di scrivere male; e di scrivere così, o non bene come accadeva a Cicerone, non perché la natura li avesse privati di questa capacità, ma perché di questa si erano essi privati quando avevano deciso di preferire, all’etica, la logica, le aspre dispute concernenti la fisica e la metafisica a quelle che hanno ad oggetto l’uomo e la sua salvezza in Cristo.



            

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