Questo breve scritto è posto sotto il nome di Giuda: potrebbe essere sia l’apostolo elencato
da Luca e Giovanni tra i dodici (Matteo e Marco hanno, invece, il nome Taddeo),
sia il Giuda citato tra i “fratelli di Gesù” (Marco 6,3). L’opera, comunque,
riflette l’ambito giudeo-cristiano, come è attestato anche dall’uso – accanto
all’Antico Testamento – degli scritti apocrifi giudaici, cioè di testi non
tenuti come ispirati da Dio, ma assai diffusi e conosciuti (in particolare sono
evocati il testamento di Mosè – chiamato anche Assunzione di Mosè – e il libro
di Enoch).
Come nella seconda lettera di Pietro, si hanno di mira, in questi 25 versetti, i falsi maestri che
stanno sconvolgendo la comunità cristiana. Essi sono attaccati con veemenza
come empi, dissoluti, impuri, ribelli, infami, sobillatori, svergognati,
adulatori, superbi e impostori. Si tratta di una vera e propria sequenza di
insulti, che sono distribuiti in tutto il testo e che hanno il loro vertice nei
versetti 12-13, segnati da immagini pittoresche, con cui si esprime la loro
condanna.
Gli errori che essi propagavano comprendevano probabilmente dottrine gnostiche, simili a quelle
condannate nelle lettere di Giovanni (la negazione dell’incarnazione di
Cristo), atteggiamenti libertini, tendenze stravaganti che minavano «la santissima fede», disgregando così
l’edificio spirituale della Chiesa.
La lettera si rivela, quindi, come una catechesi essenziale destinata a mettere in guardia i
cristiani dai pericoli delle degenerazioni religiose. Rimane viva, però, la certezza
nel sostegno del Signore, che può conservare i suoi fedeli immuni da cadute
così da avviarli al destino di gloria che li attende (versetti 24-25).
Nota Finale
È difficile dire chi
sia l’autore di questa lettera, che si firma Giuda e si qualifica come “servo
di Gesù Cristo, fratello di Giacomo”. Certamente non è Giuda Iscariota, il
traditore, e forse neppure l’altro apostolo omonimo menzionato nei vangeli.
Probabilmente l’autore scrive agli stessi destinatari della lettera di Giacomo,
con l’autorità della sua parentela, per metterli in guardia da nuovi pericoli
contro la fede. Infatti, con un linguaggio rude e pittoresco, condanna
l’insegnamento dei falsi maestri. Questa brevissima lettera, nella quale si
sente l’influenza di Paolo e che viene citata nella seconda lettera di Pietro,
è stata verosimilmente redatta alcuni anni prima della fine del I secolo d.C.
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