Dopo l’epistolario paolino e la lettera agli Ebrei, sono raccolti nel Nuovo Testamento sette
scritti che la tradizione ha chiamato “Lettere cattoliche”, cioè destinate
all’intera Chiesa diffusa per il mondo. In realtà, nonostante l’aspetto
esteriore, più che lettere in senso stretto, questi testi sembrano omelie o
catechesi destinate a varie comunità cristiane, soprattutto di origine
giudaica.
La prima che incontriamo ha come autore dichiarato «Giacomo,
servo di Dio e del Signore Gesù Cristo» (1,1): si è pensato, soprattutto in
passato, all’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni, oppure potrebbe trattarsi
di quel Giacomo «fratello del Signore»,
cioè membro del parentado nazaretano di Gesù, che fu vescovo di Gerusalemme ed
è presente con un certo rilievo negli Atti degli Apostoli (vedi At 12,17;
15,13). Certo è che noi siamo in presenza di un maestro cristiano che vuole
indicare ai suoi ascoltatori-lettori- probabilmente di origine giudaica – un
itinerario di vita spirituale che ha come sorgente la «sapienza», dono perfetto
che viene dall’alto e discende dal Padre della luce (1,17).
Tuttavia quell’itinerario si svolge anche con l’impegno umano che si deve manifestare nelle «opere»,
senza le quali la fede è morta. C’è chi ha pensato che una simile dichiarazione
(2,14-24) voglia essere polemica nei confronti di Paolo, il quale aveva
esaltato il primato assoluto della fede e della grazia. In realtà si tratta di
sottolineature differenti di aspetti entrambi rilevanti, cioè il dono divino e
la risposta libera dell’uomo. In ciò, Giacomo e Paolo si completano a vicenda.
Questo impegno del credente è rappresentato da Giacomo in una serie di temi
morali.
C’è la denuncia sferzante della ricchezza e delle ingiustizie sociali; c’è l’invito alla costanza e
alla fedeltà nel momento della tentazione; c’è l’appello reiterato a
controllare il linguaggio (particolarmente vivace è, al riguardo, il capitolo
3). C’è, infine, lo spazio riservato alla preghiera e, a questo proposito, è
significativo il passo di 5,13-15, ove si parla della preghiera per i malati.
Il Concilio di Trento ha attribuito a questo testo una rilevanza particolare,
considerandolo come un’affermazione del sacramento dell’unzione degli infermi.
Nota Finale
Nella Bibbia, dopo le lettere di
Paolo, sono collocate sette lettere che la tradizione attribuisce a diversi
discepoli di Gesù. Solitamente sono riunite sotto il nome di “Lettere
cattoliche”, cioè “universali”, perché sono destinate a un gruppo di Chiese o
ai Cristiani in generale. Più che delle vere lettere, sono dei brevi codici di
vita cristiana, da avvicinarsi ai libri sapienziali dell’Antico Testamento. La
prima di queste lettere, che sono raccolte senza alcun ordine cronologico, è
indirizzata “alle dodici tribù disperse nel mondo”, cioè a tutte le comunità
giudeo-cristiane viventi fuori della Palestina. L’autore si presenta come
“Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo”, ricordato anche da Paolo,
nella lettera ai Galati, come “colonna” della Chiesa-madre di Gerusalemme
insieme con Pietro e Giovanni. Per la data di composizione, vi sono ipotesi
contrastanti; probabilmente la lettera risale agli anni 58-62 d.C. e si tratta
di un intervento polemico nei riguardi di alcuni cristiani che deformavano
l’insegnamento di Paolo sul problema della fede e delle opere. Ciò che salva,
sottolinea l’autore, è la fede viva, quella che genera le opere della carità.
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