sabato 4 maggio 2019

SECONDA LETTERA A TIMOTEO



Anche questo scritto, come il precedente indirizzato al discepolo di Paolo, Timoteo, è segnato dal vivo rapporto che intercorre tra l’apostolo e il suo collaboratore. Anzi, la lettera acquista talora la tonalità di un vero e proprio testamento che Paolo, in carcere a Roma e alla vigilia del martirio, destina a chi gli è stato vicino nei giorni della prova e dell’impegno missionario, descritti con le immagini della battaglia e della corsa (si veda in particolare il brano presente in 4,6-8).

In questa ideale consegna estrema hanno rilievo due componenti. Da un lato, emerge il profilo del vero pastore, che ha il suo modello proprio in Paolo (1,1-2,13 e 3,10-4,5). Dall’altro lato, appare con durezza la denunzia contro i pericoli della degenerazione della fede e della vita cristiana all’interno della comunità (2,14-3,9): è una pagina molto aspra, che riflette le difficoltà ecclesiali che già affioravano e interpellavano i credenti delle stesse origini cristiane.

Come nelle altre lettere pastorali, anche in questo secondo scritto a Timoteo molti studiosi hanno intravisto il linguaggio e l’opera di un discepolo di Paolo che celebra la grandezza, evoca gli ultimi moniti e la fine del suo maestro. Rimane, comunque, indiscussa l’“ispirazione” divina della lettera che, tra l’altro, ci offre, proprio sul tema delle sacre Scritture ispirate da Dio, una considerazione molto importante, spesso usata nella storia della tradizione e della teologia cristiana come autorevole testo di riferimento (3,14-17).

Non mancano, dunque, accanto alle note pastorali molto concrete riguardanti la vita della Chiesa, anche riflessioni di grande intensità, soprattutto sul tema della salvezza operata da Cristo nel mistero pasquale: ad essa siamo tutti chiamati attraverso una fede fruttuosa e un costante impegno morale (1,9-10, 2,8-10).

Nota Finale

Questa seconda lettera a Timoteo, scritta da Roma quando Paolo sente ormai vicina la sua fine, assume quasi la forma di un “testamento”, che richiama abbastanza chiaramente il discorso di addio tenuto dall’apostolo a Mileto, davanti agli anziani della Chiesa di Efeso e riferito da Luca nel libro degli Atti. Queste affinità depongono in favore dell’origine paolina della lettera. Anche il tono e i contenuti sono molto personali: richiami alla vocazione apostolica e al legame di grazia e di storia col Cristo crocifisso e risorto; inviti al coraggio della testimonianza di fronte alle continue persecuzioni e ai falsi maestri; toccante accenno al proprio martirio imminente: insomma, un vero e proprio “testamento spirituale” lasciato da Paolo al suo discepolo e, attraverso lui, a tutti coloro che, avendo letto il suo epistolario, “attendono con amore la manifestazione del Signore”.



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