Tito, collaboratore di Paolo, era di origine pagana e forse era stato
convertito dallo stesso apostolo, se almeno si intende in questo senso
l’appellativo di «vero figlio nella fede
comune», che gli viene rivolto proprio in apertura alla lettera (1,4).
Anche se gli Atti degli Apostoli non lo menzionano mai, la presenza di Tito
accanto a Paolo è costante ed è sorgente di serenità, di conforto e di amicizia
nelle fatiche e nelle difficoltà dell’evangelizzazione, come si intuisce
soprattutto da alcuni passi della seconda lettera ai Corinzi (in particolare
nei capitoli 7-8).
Lo scritto indirizzato a Tito è piuttosto denso a livello teologico e cerca di riproporre la fede
cristiana nelle sue radici fondamentali: esemplare in questo senso è il brano
presente in 2,11-14, ove vengono messe in luce le tappe della storia della
salvezza – a partire dall’incarnazione fino alla piena manifestazione o
“epifania” gloriosa di Cristo – e si esalta anche la risposta morale del
cristiano. Lo sfondo di questa professione di fede è probabilmente quello della
catechesi battesimale.
Si ritrovano, poi, in queste pagine altri elementi caratteristici delle lettere pastorali
paoline. Si delinea, così, il ritratto dei presbìteri e dei “vescovi” (1,5-9),
nei cui confronti Tito ha una funzione di responsabilità all’interno della
Chiesa di Creta a nome dell’apostolo. Appaiono ancora una volta i falsi maestri
che turbano la coscienza dei cristiani: nei loro confronti si pronunziano a più
riprese parole piuttosto aspre di condanna (1,10-16; 3,9-11), non esitando a
ricorrere a una citazione di un poeta cretese del VI secolo a.C., Epimenide di Cnosso, che aveva bollato i suoi connazionali
come «sempre bugiardi, cattive bestie,
ventri pigri» (vedi 1,12).
Come nelle precedenti lettere a Timoteo, anche in questa destinata a Tito si
ha una rappresentazione dal vivo dei problemi pastorali delle prime comunità
cristiane, con un’attenzione particolare all’impegno coerente nella fede e
nella carità. Un impegno che viene giustificato ricorrendo all’insegnamento
tradizionale cristiano, richiamato nelle sue componenti fondamentali come guida
contro le tentazioni delle deviazioni dottrinali, che minacciavano la fede
della comunità.
Nota Finale
Tito è uno dei primi Greci convertiti al Cristianesimo. Battezzato
da Paolo, partecipa con lui all’assemblea di Gerusalemme, organizza per suo
incarico la colletta in favore di quella Chiesa e, durante la seconda prigionia
romana dell’apostolo, viene mandato a predicare in Dalmazia. Paolo gli invia
questa lettera a Creta, dove l’ha lasciato a organizzare “ciò che rimane da fare”, e lo esorta a insegnare a ogni categoria
di persone “ciò che è secondo la sana
dottrina”, a costruire in ogni città i presbìteri (capi delle comunità
locali), a vigilare sui rapporti con le autorità e con le diverse culture in
base a un criterio di rispetto e di intelligente vigilanza critica.
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