Questa lettera di Paolo è quasi certamente il primo scritto cristiano in ordine
cronologico. Fu infatti composta attorno al 50-51 e fu destinata alla comunità
cristiana dell’importante città commerciale di Tessalonica, posta in Macedonia
e visitata dall’apostolo durante il suo secondo viaggio missionario. Lo scritto
può essere seguito distinguendo tre fasi di sviluppo. Dopo l’indirizzo e il
ringraziamento a Dio, che sono costanti nelle lettere paoline e che occupano il
capitolo 1, si ha una prima parte di taglio autobiografico, in cui Paolo
rievoca il suo soggiorno tessalonicese, allorché egli si era sentito come una
madre e un padre per quei cristiani, pronto a donare anche la vita per loro
(capitolo 2).
In un secondo momento, che possiamo far correre da 4,1 fino a 5,1, l’apostolo affronta alcune
questioni specifiche che devono essere risolte perché travagliano la Chiesa
tessalonicese. C’è innanzitutto il problema dei morti e dei vivi di fronte
all’evento della risurrezione: i primi verranno da Dio riportati a nuova vita,
i secondi saranno «rapiti sulle nubi, per
andare incontro al Signore nell’aria» per essere sempre con lui (4,17). Si
tratta, quindi, di una rappresentazione con elementi simbolici, destinata a
illustrare la piena comunione finale del credente in Cristo.
Un altro tema che
angoscia i cristiani di Tessalonica è quello della scadenza della “parousìa”:
con questo termine greco si vuole indicare la venuta definitiva di Cristo a
suggello della storia Umana. Alcuni pensavano che essa fosse imminente e si
abbandonavano ad una vita disimpegnata nei confronti del presente. Paolo
ribadisce l’indeterminatezza della data di quell’evento e invita alla vigilanza
serena e operosa, nella dedizione quotidiana e nella santità della propria
esistenza.
La lettera è conclusa da una terza parte (5,12-22), che si rivela come un’esortazione calorosa
a offrire la propria testimonianza di fede e d’amore all’interno della
comunità. In questa sezione si incontra una sequenza di quindici imperativi che
illustrano i punti più rilevanti dell’impegno cristiano. La lettera è un testo
illuminante per conoscere l’esperienza e l’atmosfera di alcune Chiese cristiane
delle origini, le loro attese e speranze, le loro difficoltà e i loro progetti.
Nota Finale
Questa lettera è con
tutta probabilità il primo documento scritto del Nuovo Testamento, anteriore
persino ai vangeli. È inviata da Corinto verso la fine del 51 o l’inizio del 52
d.C., per sostenere la fede della giovanissima comunità di Tessalonica,
capitale della provincia romana della Macedonia, che Paolo ha dovuto
abbandonare dopo soltanto pochi mesi di predicazione per l’ostilità dei Giudei.
L’apostolo, che ha suscitato nei Tessalonicesi una fede operosa e una carità
disinteressata, chiarisce alcuni punti rimasti in sospeso: proclama la
risurrezione dei defunti alla venuta gloriosa di Cristo e corregge certe
indulgenze verso i costumi pagani, soprattutto in campo sessuale. Queste
precisazioni dottrinali sono fatte con un vivo senso d’affetto, nell’evocazione
commossa dei primi momenti della conversione. La lettera, che ha lo stile di
una conversazione, dimostra che lo scritto non sostituisce la predicazione
apostolica a viva voce, ma anzi la completa, come strumento integrante di
evangelizzazione e di catechesi.
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