Nel corso della sua
storia
l’uomo ha sperimentato via via la natura come forza sacra da rispettare
(religioni orientali) o come potenza minacciosa da esorcizzare (animismo
magico), come padrona da propiziare assecondandone i ritmi (civiltà contadina)
o come oggetto da manipolare (civiltà tecnologica moderna). Per millenni l’uomo
si è sentito dipendente dalla natura e impotente di fronte al suo corso,
oscillando tra l’atteggiamento difensivo e quello fatalista.
Nell’epoca moderna i progressi
della Scienza e della Tecnica hanno rovesciato l’antico senso di «impotenza» nell’opposta pretesa di
«onnipotenza
manipolatrice», degenerata in quell’atteggiamento di «prepotenza» – per un presunto diritto di uso e di abuso – che è
all’origine dell’attuale crisi ecologica.
Genesi
1-3 presenta il rapporto dell’uomo con la natura nel contesto dell’antica
esperienza del mondo (l’uomo minacciato dalla natura), opposto a quello attuale
(la natura minacciata dall’uomo): questo spiega l’accentuazione polemica della
dipendenza della natura e la sua aperta desacralizzazione.
Il rapporto è prospettato in due quadri distinti. Il primo richiama l’armonia del
rapporto del giardino dell’Eden, originario, ideale, che corrisponde al
progetto divino e che rappresenta la meta a cui tendere. Il secondo fa riferimento alla
conflittualità del rapporto “storico” inquinato dal peccato. Normativo è
evidentemente il primo quadro, che vede la natura donata all’uomo e affidata
alle sue cure. Questo affidamento viene presentato nel racconto “Sacerdotale”
come «dominio» (Genesi 1,26-30), in
quello “Jahvista” come «coltivazione e custodia» (Genesi 2,15).
Particolarmente
significativo è poi il contesto – la solitudine di Adamo («non è bene che l’uomo sia
solo») – in cui è collocata
la creazione degli animali e l’invito divino a dare a ciascuno di essi un nome
(segno di appartenenza). Il «dominio» di cui parla il testo non va equivocato: è quello che
l’uomo è chiamato ad esercitare come “immagine” (ad imitazione) di un Dio che
ama e cura le sue creature. Non ha quindi nulla di arbitrario e di tirannico.
Plasmato dalla polvere del suolo
(Genesi 2,7), l’uomo rimane a tal punto solidale con la terra che, per la fede
cristiana, la «risurrezione» finale comporterà una «nuova terra» quale contesto di una salvezza che riguarda non solo l’anima (ciò che nell’uomo trascende la natura), ma anche il corpo (che rappresenta la nostra radicazione nella natura).
Certo, l’uomo non è solo parte della natura. Quale immagine di Dio e
depositario dell’alito divino (Genesi 2,7), è signore, centro e vertice di un
mondo che solo in lui si fa consapevole del dinamismo che lo sospinge alla
propria meta.
Questo non
significa che egli possa disporre arbitrariamente delle cose. La natura, pur
messa nelle sue mani, resta opera di Dio, e, come tale, titolare di una dignità
e di un valore “proprio” , che l’uomo deve riconoscere e rispettare. In quanto
frutto della Parola di Dio, la natura ha infatti anche qualcosa da dire e da
insegnare al suo custode. Reca le tracce del Creatore e ad esso rinvia
(Sapienza 13,1-5; Romani 1,20). Riflesso della sapienza divina, può insegnare
un po’ di questa saggezza all’uomo, aiutandolo a comprendere e a realizzare la
propria missione nel mondo.
L’epoca
moderna vede la natura ridotta ad oggetto che l’uomo plasma con le
proprie mani (Scienza, e Tecnologia), producendo un mondo sempre più artificiale.
Oggi godiamo, certo, dei notevoli vantaggi della rivoluzione scientifica e
tecnologica, ma assistiamo anche al dissesto ambientale prodotto dalla
violazione dei diritti di una natura a cui abbiamo tolto la parola. (Vedi post Marzo/Aprile 2013 su: Consumismo-Inquinamento-La legge dell'Entropia-La Tecnologia-Il Sistema di Trasporti))
A questo punto la fede biblica
nella creazione si ripropone in tutta la sua attualità prospettandoci una
natura né da risacralizzare (alla “New Age”) né da manipolare arbitrariamente,
ma da considerare come nostro ambiente vitale nel cammino verso la meta a cui
Dio ci chiama. Una natura di cui siamo parte (in qualche modo la natura è il
nostro corpo comune), con cui siamo solidali. Una natura di cui dobbiamo essere
curatori, non despoti arbitrari, che possiede un valore che non deriva da noi
ma dal comune Creatore. Una natura che ci è compagna (Francesco d’Assisi la
sente addirittura «sorella») e, per certi aspetti, anche maestra.
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