domenica 29 aprile 2018

GIUDITTA



Il libro di Giuditta è la testimonianza di un giudaismo tardo, perseguitato ma orgoglioso della sua libertà e della sua capacità di vittoria sotto la guida di Dio, che sceglie, come spesso accadeva nella storia antica d’Israele, il debole per confondere il potente e vincerlo. L’eroina è, infatti, una donna vedova, il cui nome è emblematico perché significa “la giudea” per eccellenza, vera “madre della patria” come Debora, Giaele ed Ester. La sua città ha anch’essa un nome simbolico, Betulia, allusivo forse a Betel, “casa di Dio”, “casa del Signore Dio”.

Il testo di Giuditta è giunto a noi in greco, pur avendo forse una matrice ebraica o aramaica: per questa ragione non è entrato nel Canone dei libri biblici ispirati, riconosciuti come tali dagli Ebrei e dai protestanti, che hanno privilegiato solo i libri scritti in ebraico. I cattolici usano definire il libro come “deutero-canonico”, insieme agli altri libri greci dell’Antico Testamento (ad esempio, Tobia, che abbiamo già commentato). Lo sfondo storico è fittizio e rimanda a Nabucodonosor (VI secolo a.C.), erroneamente considerato come re assiro (era, invece, babilonese) e residente a Ninive, la capitale assira distrutta da suo padre Nabopolassar.

Lo scopo di questo racconto esemplare, analogo a quello di Ester, non è infatti storico, ma è l’esaltazione della protezione che il Signore riserva al suo popolo nel momento della tragedia, attraverso l’opera di una persona debole e ultima, che in questo modo rivela l’azione divina. È probabile che si rifletta l’epoca dei Maccabei, nel II secolo a.C., allorché su Israele si stendeva la dura oppressione dei siro-ellenisti. È in questa luce che deve essere interpretato anche il gesto violento di Giuditta.

La narrazione, dopo una lunga preparazione (capitoli 1-7), ha al centro una grande scena dominata dal festino del generale nemico Oloferne e dall’audacia di Giuditta, che spicca il capo al generale con un colpo di scimitarra. In finale si leva l’inno nazionale che celebra la vittoria di Giuditta: la tradizione cristiana l’ha liberamente reinterpretata come una figura mariana. 
   
Nota Finale

Il libro di Giuditta, incentrato come quelli di Tobia ed Ester su un personaggio principale, racconta di una grande vittoria del popolo eletto sui suoi nemici grazie all’intervento di una donna, che con la fede e l’astuzia riesce a sconfiggere Oloferne, generale di Nabucodonosor. Il racconto è volutamente svincolato da ogni plausibilità storico-geografica (Nabucodonosor è presentato come un sovrano assiro, mentre in realtà era re di Babilonia, e la città di Betulia, centro dell’azione, risulta sconosciuta) e propone soprattutto un messaggio teologico: il debole sorretto dal Signore può piegare il potente superbo, mentre nulla possono i nemici di Israele contro il vero Dio. L’eroina Giuditta è diventata, nella tradizione cristiana, simbolo di Maria Vergine, vincitrice del male attraverso suo figlio Gesù Cristo. Il libro, di autore sconosciuto e il cui originale ebraico risalente al II sec. a.C. è andato perduto, è giunto a noi in versione greca.



domenica 22 aprile 2018

TOBIA



Come dice la radice ebraica che sta alla base del nome dei due protagonisti, Tobi e Tobia – «tob» in ebraico significa “buono”, “bello”, “utile” –, siamo di fronte a una storia che esalta il bene come fonte di bellezza e di felicità. Si tratta di una narrazione popolare esemplare post-esilica, che evoca un precedente sfondo storico assiro e persiano (Ninive ed Ecbatana, sovrani come Ciassare, Salmanassar V, Assarhaddon, Sennacherib, del VII secolo a.C.) in modo molto approssimativo. Lo scopo principale, infatti, è quello di esaltare la fedeltà di un Ebreo, che vive nella diaspora e quindi in terra straniera, alla legge e alla fede dei padri.

Il racconto rivela subito un certo fascino e cattura il lettore con i suoi colpi di scena, col suo svolgimento nitido, con il gusto del particolare. Tre coppie di personaggi reggono la trama. La prima è quella “eroica” dei due Tobia, padre e figlio. Entrambi sono legati a un’altra coppia, femminile, costituita dalle rispettive mogli, Anna e Sara, che sono rappresentate secondo la negatività misteriosa che spesso l’Oriente attribuisce alla femminilità. Infine, c’è la coppia trascendente, l’angelo Raffaele-Azaria e il demone Asmodeo.

Ci sono, quindi, tutti gli ingredienti per una storia che lascia con il fiato sospeso fino all’atteso lieto fine. Lutero scriveva: «Se si tratta di storia, è storia sacra; se si tratta di poesia, è poema molto bello, salutare e proficuo, opera di un poeta geniale. Commedia fine e amabile». Eppure è il libro che esalta le opere giuste che danno salvezza, una tesi non certo cara al celebre riformatore.

Tobia è, infatti, la celebrazione del giudaismo fedele, che, pur in mezzo a difficoltà, conserva intatta la sua adesione ai precetti della legge biblica ed è, perciò, alla fine benedetto da Dio secondo la ben nota legge della retribuzione, per la quale la giustizia ha sempre quaggiù una ricompensa. Il libro è giunto a noi in greco; perciò non è conosciuto come “canonico” dagli Ebrei e dai protestanti.
  
Nota Finale

Per il suo interessante contenuto e per lo stile vivace, il libro di Tobia è considerato dalla tradizione ebraica e cristiana un piccolo gioiello letterario. Si tratta della storia di una famiglia giudaica in esilio a Ninive e della felice conclusione di un matrimonio, realizzato dopo il superamento di molteplici ostacoli naturali e soprannaturali. Nel racconto interviene anche un personaggio celeste, l’angelo Raffaele, che appare in veste umane col nome di Azaria. Il tema fondamentale di questo delicato quadretto di vita familiare è quello della provvidenza divina che libera i giusti da ogni tribolazione: Dio può mettere alla prova, ma chi ha fede, alla fine, sarà premiato. Il libro è anche un elogio dell’ebreo fedele della diaspora, cioè di colui che, pur essendo disperso fra i pagani, mantiene alta la fiamma della legge del Signore. Nulla sappiamo circa l’autore del libro di Tobia, composto presumibilmente attorno al 200 a.C.   




venerdì 13 aprile 2018

NEEMIA



Profondamente collegato al precedente libro di Esdra, del quale costituisce un’ideale continuazione, questo volume biblico ha come protagonista l’ebreo Neemia, coppiere del re persiano Artaserse. Gli studiosi discutono se si tratti di Artaserse I o II: questo naturalmente muterebbe la cronologia della storia narrata. L’ipotesi tradizionale ritiene che Esdra giunse per primo da babilonia a Gerusalemme nel settimo anno di Artaserse I, cioè nel 458 a.C., mentre Neemia lo raggiunse nel 445 a.C., ventesimo anno dello stesso Artaserse I, rimanendovi 12 anni, cioè sino al 433 a.C. Ripartito per la corte persiana (l’incarico di coppiere era uno dei più importanti), dopo un soggiorno indeterminato, Neemia si recò nuovamente a Gerusalemme per una seconda missione.

L’opera fondamentale di Neemia, uomo politico, è il restauro delle mura della città santa con la collaborazione di volontari, ma anche con ostilità esterne di vario genere da parte delle popolazioni locali. Questa ricostruzione è quasi il segno di una rinascita nazionale e religiosa che Neemia sigla con un impegno ufficiale di tutta la comunità ebraica. Tra gli avversari più duri di quest’impresa si segnalano Tobia, un capo ebreo, ma principe di Ammon (popolazione della Transgiordania), e Sanballat, governatore persiano di Samaria.

L’opera, alla fine, giunge a compimento e Gerusalemme, ora più sicura e più sacra, si arricchisce di nuovi abitanti che la ripopolano. Entra in scena, allora, anche il sacerdote Esdra, che in una grandiosa assemblea liturgica promulga solennemente la legge santa di questo Stato sacrale. Con un rito penitenziale il popolo è coinvolto nell’osservanza delle norme, in particolare di quelle sui matrimoni misti, sul sabato e sulle offerte per il tempio.

Abbiamo ormai davanti a noi uno stato “Teocratico”, cioè retto da Dio stesso attraverso il suo sacerdote Esdra, con la legge biblica come carta costituzionale e codice civile, con una nazione che è anche una comunità religiosa, con le stesse mura di Gerusalemme consacrate come un tempio.

Nota Finale

Il libro di Neemia narra dell’opera svolta da un capo giudeo, nel periodo post-esilico, per la riedificazione di Gerusalemme. Neemia, coppiere del re persiano Artaserse I (465-425 a.C.), viene autorizzato a recarsi nella città ebraica per sovrintendere alla ricostruzione delle mura. Conducendo un’energica azione contro vari nemici che osteggiano questa ricostruzione, Neemia porta a compimento la sua opera. In una solenne assemblea durante la quale il sacerdote Esdra proclama la perenne validità della legge mosaica, si gettano le basi istituzionali della nuova comunità. Al termine di questa assise religioso-politica, il popolo rende confessione dei suoi peccati e rinnova l’alleanza con Dio. I due libri di Esdra e Neemia, databili fra il 350 e il 300 a.C., sono opera di uno stesso autore, ignoto, e nascono dal medesimo ambiente sacerdotale che ha prodotto le Cronache.



sabato 7 aprile 2018

ESDRA



Il libro storico che ora si apre davanti a noi è l’ideale continuazione delle Cronache e quindi è da ricondurre all’ambito sacerdotale. Esso porta il nome di uno dei protagonisti della rinascita d’Israele, rientrato dall’esilio babilonese nella terra dei padri in seguito alla politica liberale dei re di Persia nei confronti degli Ebrei deportati. Si tratta del sacerdote Esdra, che appare sulla ribalta a partire dal capitolo 7, ma che sarà attivo anche nel libro successivo di Neemia. Siamo, infatti, in presenza di due opere così collegate tra loro che l’antica versione greca della Bibbia detta dei “Settanta” le ha unite in un solo volume di 23 capitoli.

I problemi storici posti da queste due opere sono molto complessi, anche perché esse rimandano spesso a documenti d’archivio dell’impero persiano, stesi in lingua aramaica, la lingua diplomatica di allora. Si comincia proprio con il celebre editto di Ciro (538 a.C.), che concesse agli Ebrei di poter rientrare in patria e ricostruire quel tempio che i Babilonesi avevano distrutto nel 586 a.C. L’erezione avviene in mezzo a gravi difficoltà interne e ostilità delle popolazioni locali, ma ha il suo compimento nel 515 a.C. È quello che verrà chiamato il “secondo tempio”.

Decenni dopo entra in scena Esdra, che dalla Persia giunse a Gerusalemme per rinverdire la fede d’Israele, che si era appannata in quegli anni. Stando al dato biblico egli interviene durante il regno di Artaserse: tradizionalmente si pensa che sia Artaserse I (465-424 a.C.), ma alcuni studiosi ritengono che si tratti di Artaserse II (404-358 a.C.). In quest’ultimo caso la figura e l’opera di Neemia sarebbero da anticipare rispetto a Esdra. Sta di fatto, comunque, che questo sacerdote compie un’azione di forte ricostituzione della comunità ebraica.

Con molta fermezza egli impedisce ogni cedimento nei confronti della purezza religiosa, introduce una rigorosa riforma dei matrimoni misti, spezzando tutte le famiglie che avevano al loro interno mogli e madri straniere, così da dar origine a una nazione sacra, retta solo dalla legge divina, chiusa e compatta al suo interno. Nasce, ora, quello che verrà chiamato il “giudaismo”. 
     
Nota Finale

Il libro di Esdra e quello successivo di Neemia sono la continuazione delle Cronache e descrivono il ritorno dei Giudei dall’esilio di Babilonia e la ricostruzione di un nuovo stato ebraico. Nel 586 a.C. i Babilonesi hanno sottomesso Giuda, ma sono sconfitti a loro volta da Ciro, re di Persia, il quale emana nel 538 a.C. un editto che autorizza gli Ebrei a tornare nel loro paese. Un primo gruppo di rimpatriati si accinge alla ricostruzione del tempio di Gerusalemme, sotto la guida di Sesbassar, ma incontra la forte opposizione della popolazione locale e deve interrompere i lavori.

Durante il regno di Dario I (521-485 a.C.), altri Ebrei tornano in patria e, capeggiati da Zorobabele e dal sommo sacerdote Giosuè, riescono a completare la ricostruzione del tempio nella primavera del 515 a.C. Più tardi rientra in Giudea un terzo gruppo di esiliati guidati da Esdra, un alto esponente del sacerdozio, il quale restaura la più rigorosa osservanza della legge mosaica e introduce riforme riguardanti in particolare i matrimoni misti. L’unione con donne straniere è una minaccia di contaminazione per il popolo eletto, perciò Esdra chiede che le mogli non ebree vengano allontanate. In questo difficile periodo storico-politico, il giudaismo si chiude in forme di rigorismo religioso per conservare la propria identità.