domenica 29 gennaio 2017

ARISTOTELE E LA FILOSOFIA COME SCIENZA DELL’ESSERE


In un primo significato, la filosofia si costituisce dunque come scienza delle cause e dei principi primi del reale, dell’«essere». Ma anche le scienze particolari indagano sul reale, non sul nulla. Tuttavia, esse si occupano solo di un aspetto particolare della realtà, ben delimitato, e di questo ricercano le cause: così la medicina si occupa di un aspetto della realtà, quello della salute, mentre la biologia, ad esempio, studia la realtà «in quanto» è vita o sotto l’aspetto della vita. La filosofia è «scienza che considera l’essere in quanto essere e le proprietà che gli competono in quanto tale» (Met., IV, 1). La filosofia dunque considera l’«essere» solo ed esclusivamente «in quanto» tale, ovvero «sotto l’aspetto di» «essere». Dunque, la filosofia in quanto scienza delle cause e dei principi primi deve «ricercare le cause prime dell’essere in quanto essere». 

Rispetto alle scienze particolari, la filosofia è scienza della totalità dell’«essere», non in quanto indaga su tutti gli aspetti dell’«essere» – come l’enciclopedismo sofista –, ma in quanto ricerca su quel momento comune a tutte le cose che è il loro non essere nulla. La filosofia è dunque «ontologia». Ma, a differenza di Parmenide, che intende il termine «essere» come riconducibile ad un solo significato – interpretazione univoca dell’«essere» –, per Aristotele l’«essere» si dice essenzialmente in molti modi. 

Per Parmenide, poiché il significato «essere» non è identico ai significati del molteplice, uomo, casa, ecc., ne consegue che l’«uomo» non essendo «essere» è senz’altro «non essere». Così l’eleate è costretto a negare l’esistenza del molteplice e del divenire. L’«essere» è uno, ingenerabile, incorruttibile, senza divenire né tempo. Per Aristotele, al contrario, è proposizione immediatamente evidente «che le cose della natura, o tutte o in parte, sono mosse», così come appartiene all’evidenza immediata l’esistenza del molteplice. Molteplicità e divenire costituiscono la “phýsis”. 

Nella “Metafisica, Aristotele ricerca quali sono i molteplici significati dell’«essere» ai quali la totalità dei significati può essere ricondotta. Questi significati sono: 1) l’«essere» nel senso dell’accidente; 2) l’«essere» nel senso dell’«essere» per sé; 3) l’«essere» come vero; 4) l’«essere» come potenza e atto. L’«essere» in quanto potenza e atto si estende a tutti gli altri significati. L’«essere» per sé si dice secondo le figure delle categorie. 

Prima di passare in rassegna i diversi significati, lo Stagirita (Stagira, antica città della Grecia) si propone di risolvere un problema pregiudiziale: in che modo questa molteplicità di significati non è un mero «omonimo» (vero, proprio, puro e semplice), ovvero essi non si dicono «essere» in senso equivoco e neppure in senso univoco. Infatti, «l’essere si dice in molteplici significati, ma sempre in riferimento ad una unità e ad una realtà determinata. L’«essere, quindi, non si dice per mera omonimia, ma nello stesso modo in cui diciamo “sano” tutto ciò che si riferisce alla salute: o in quanto la conserva, o in quanto la produce, o in quanto ne è sintomo, o in quanto è in grado di riceverla; o anche nel modo in cui diciamo “medico” tutto ciò che si riferisce alla medicina: o in quanto possiede la medicina, o in quanto ad essa è per natura ben disposto o in quanto è opera della medicina (…) 

Così dunque anche l’«essere» si dice in molti sensi, ma tutti in riferimento ad un unico «principio»: alcune cose sono dette esseri perché sono “sostanze”, altre perché affezioni della “sostanza”, altre perché vie che portano alla “sostanza”, oppure perché corruzioni o privazioni, o qualità, o cause produttrici e generatrici sia della “sostanza”, sia di ciò che si riferisce alla “sostanza”, o perché negazioni di qualcuna di queste, ovvero della “sostanza” medesima. Per questo, anche il “non essere” diciamo che è “non essere”» (Met., IV, 2).

Dunque il centro unitario di riferimento dei significati dell’«essere» è la “sostanza”. Sotto quest’aspetto, la scienza dell’«essere» in quanto «essere» è insieme, scienza della “sostanza” non in quanto l’«essere» si riduce ad un solo significato, “sostanza” appunto, ma in quanto essa è punto di riferimento di tutti gli altri significati. «Tuttavia, in ogni caso, la scienza ha come oggetto essenzialmente ciò che è primo, ossia ciò da cui dipende e in virtù di cui viene denominato tutto il resto. Dunque, se questo primo è la “sostanza”, il filosofo dovrà conoscere le cause e i principi della “sostanza”» (Met., IV, 2, 1003 b 15). 

Inoltre ogni “sostanza” è essenzialmente una, così come è «essere», giacché l’«essere e l’uno sono una medesima cosa ed una realtà unica, in quanto si implicano reciprocamente l’un l’altro». Chiarito ciò, Aristotele afferma che vi sono tante parti della filosofia quante sono le “sostanze”. Sicché alla filosofia prima compete lo studio della “sostanza” prima. Alla medesima scienza compete anche lo studio dei contrari e delle proprietà per sé o essenziali dell’«essere». Infine, a differenza di quanto affermano Platone e i platonici, l’«essere», così come l’uno, non è qualcosa di universale e di identico in tutte le cose o qualcosa di separato». L’«essere» non è un genere: esso è sempre in riferimento alla cosa che concretamente esiste. 


             

domenica 22 gennaio 2017

ARISTOTELE E LA SCIENZA RICERCATA


Che il filosofare sia l’attività più elevata per l’uomo, che esso sia scienza, che questa abbia per oggetto le realtà prime costituisce per Aristotele non un dato immediato ma il risultato di un processo dimostrativo. La prima tappa di questo processo evidenzia il primato del «conoscere»; infatti, «tutti gli uomini per natura tendono al sapere» (Met., I, 980 a). Il sapere, inoltre, è ricercato per se stesso, indipendentemente dalla sua utilità immediata. Dice Aristotele poco dopo: «Noi preferiamo la vista a tutte le altre sensazioni (…) E il motivo sta nel fatto che questa sensazione, più di ogni altra, ci fa acquistare conoscenza e ci presenta con immediatezza una molteplicità di differenze». 

Attraverso esperienza e memoria, cioè l’accumulo delle conoscenze, l’uomo giunge all’arte e alla scienza. Infatti, «mentre gli empirici sanno il puro dato di fatto, ma non il perché di esso, invece gli altri conoscono il perché e la causa» (ibidem - nella stessa opera -, 981 b 28). Il conoscere più elevato è quello che ricerca le cause, ed in ciò consiste la conoscenza scientifica. Fra le conoscenze scientifiche, quella che ricerca la causa e i principi più elevati è indicata con il nome di «sapienza» (sophía), e sapienti o filosofi sono quanti posseggono tale scienza. Suo fine non è l’utile, ma la stessa conoscenza. «Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia (…). Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito infatti è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia» (ibidem - nella stessa opera -, I, 2, 982, b 20). 

Noi «diciamo di conoscere una cosa quando riteniamo di conoscere la causa prima», cioè quella causa che non rinvia ad altro per la sua giustificazione. La filosofia è dunque scienza che ha per oggetto la causa e i principi primi. Le cause sono di quattro tipi: «formale», «materiale», «efficiente» e «finale». La causa «formale» indica la sostanza o l’essenza che caratterizza una certa realtà come quella specifica realtà e non come un’altra (ad esempio, l’anima razionale per l’uomo). La causa «materiale» indica ciò di cui una cosa è fatta (ad esempio, il bronzo per una statua). La causa «efficiente» è ciò da cui deriva il movimento alle cose: il figlio è generato dal padre, la statua dallo scultore, un’azione dalla decisione. La causa «finale» indica lo scopo o il fine, ciò in vista di cui o in funzione di cui una cosa è o diviene; questo è il «bene». 

La dottrina è, secondo Aristotele, corroborata dallo sviluppo della storia della filosofia. Ma nei predecessori le cause sono state introdotte o in modo insufficiente e parziale, o in modo scarsamente motivato: «la filosofia primitiva sembra che balbetti su tutte le cose, essendo giovane e ai suoi primi passi (Met., I, 10).   

domenica 8 gennaio 2017

ARISTOTELE E LA METAFISICA O FILOSOFIA PRIMA (PREMESSA)



Il termine «Metafisica» è stato introdotto probabilmente da Andronico di Rodi (I sec. a.C.) per designare il complesso dei trattati, quattordici libri di differente argomento che, nella sua raccolta, venivano «dopo» gli scritti sulla scienza naturale (tà metà tà physiká). Poiché in una sua accezione rilevante oggetto di questa scienza sono quelle realtà che stanno «al di là» delle cose sensibili, cioè le realtà sovrasensibili, il titolo nella tradizione  storica venne assunto per designare la scienza che tratta delle realtà sovrasensibili: Dio e i movimenti celesti. Non a caso Kant ritenne che il termine «non fosse nato a caso, dal momento che conviene tanto esattamente alla scienza stessa». 

Aristotele designa solitamente tale scienza con il termine «filosofia prima» o «scienza circa le cose prime». La definizione di «filosofia prima» fa riferimento alla divisione aristotelica delle scienze. Egli distingue le scienze in: teoretiche, pratiche e poietiche (Met., XI, 7-8). La scienza si distingue innanzi tutto dalle altre forme di conoscenza, in quanto «ha per oggetto la ricerca dei principi e delle cause di quelle realtà che essa intende studiare». L’attitudine, che nello studio delle realtà viene assunta, può essere o "teoretica", cioè meramente contemplativa, o "pratica", se la realtà viene considerata in vista della sua trasformazione. 

Si vengono così a delineare due grandi gruppi di scienze: quelle "teoretiche", che comprendono teologia, matematica e fisica; e quelle "pratiche", distinte in scienze pratiche in senso stretto – etica e politica – e in scienze "poietiche" o produttive. Inoltre, «come all’interno delle scienze, le scienze "teoretiche" costituiscono il genere più eccellente, così tra queste la più eccellente è la «teologia», giacché tra le realtà studiate il suo oggetto è quello più degno di rispetto e ogni scienza si dice superiore o inferiore in rapporto al proprio oggetto» (ibidem - nella stessa opera -, 7, 1064 b).

Per questi motivi, quella parte della filosofia che tratta le realtà più elevate nell’ordine dell’essere, cioè le realtà prime – Dio e gli esseri immutabili – costituirà la «filosofia prima» o «teologia», mentre la fisica, che ha come contenuto la realtà diveniente, costituirà la filosofia seconda. Aggiunge Aristotele che «se le sostanze fisiche fossero superiori ad ogni altra sostanza, anche la fisica si porrebbe come la prima fra tutte le scienze. Ma, se esiste un’altra realtà che è separata e immobile, allora necessariamente anche la scienza che indaga su di essa è diversa dalle altre; deve inoltre essere superiore alla fisica e, in quanto superiore, universale» (Met., VI, 1, 1026 a 27 sgg.). 

Nota finale

Tutti i motivi del pensiero di Aristotele convergono nella «metafisica» che costituisce l’espressione delle ragioni ultime della sua filosofia. Purificata la coscienza filosofica da elementi mitici e metaforici, Aristotele cercò di determinare con rigore scientifico i fondamenti della visione del mondo che, nelle linee generali, aveva attinto da Platone.