lunedì 7 dicembre 2015

I SETTE VIZI CAPITALI




I vizi capitali sono un elenco di inclinazioni profonde, morali e comportamentali, dell'anima umana, spesso e impropriamente chiamati «peccati capitali». Questo elenco di vizi (dal latino vĭtĭum = mancanza, difetto, ma anche abitudine deviata, storta, fuori dal retto sentiero) distruggerebbero l'anima umana, contrapponendosi alle virtù, che invece ne promuovono la crescita. Sono ritenuti "capitali" poiché più gravi, principali, riguardanti la profondità della natura umana. Impropriamente chiamati "peccati", nella morale filosofica e cristiana i vizi sarebbero già causa del peccato, che ne è invece il suo relativo effetto. 

Nella dottrina morale cattolica, i vizi capitali sono le principali abitudini non ordinate verso il Bene Sommo, cioè Dio, dai quali tutti i peccati traggono origine.
  1. Superbia 
  2. Avarizia 
  3. Lussuria 
  4. Invidia 
  5. Gola 
  6. Ira 
  7. Accidia 

La Superbia è una radicata convinzione della propria “superiorità”, reale o presunta, che si traduce in atteggiamento di altezzoso distacco o anche di ostentato disprezzo verso gli altri, e di disprezzo di norme, leggi, rispetto altrui. Secondo la chiesa il peggiore dei sette vizi è la «Superbia», poiché con questo sentimento si tenderebbe a mettersi sullo stesso livello di Dio, considerarlo quindi “inferiore” a come dovrebbe essere considerato. Infatti, nella dottrina cristiana, è proprio la «Superbia» il peccato di cui si sono macchiati Lucifero, Adamo ed Eva. Questi “sette” vizi, sono raffigurati anche nella "Divina Commedia" di Dante Alighieri sotto forma di bestie selvatiche (lupa; leone; lonza) incontrati da Dante nella selva oscura, all'inizio della sua avventura. La «Superbia», concludendo, è “Amor di sé” spinto fino all’eccesso di considerarsi principio e fine del proprio essere, e per ciò stesso al colpevole disconoscimento della propria condizione di Creatura. La «Superbia» è la sopravvalutazione della propria persona e delle proprie capacità, correlata ad un atteggiamento di “superiorità” verso gli altri considerati “inferiori”. Nella religione cattolica è considerato il peggiore tra i “sette” vizi capitali, contrapposti alle “tre” virtù teologali (Fede, Speranza e Carità) e alle “quattro” virtù cardinali (Giustizia, Fortezza, Temperanza, Prudenza). Il superbo tende a comportarsi in maniera scorretta perché ritiene di essere migliore degli altri. 

L’Avarizia è una scarsa disponibilità a spendere e a donare ciò che si possiede, taccagneria, avidità; per «Avarizia» si intende la riluttanza ad offrire se stesso ma sopratutto le proprie cose, ciò che si possiede. Talvolta si confonde con l’Avidità che invece indica il desiderio di accrescere i propri beni. L’ avaro è concentrato nella conservazione meticolosa di ciò che già ha. L’«Avarizia» è elencata tra i “sette” vizi capitali secondo la Chiesa cattolica. I Buddhisti credono che l’«Avarizia» sia basata su una scorretta associazione tra benessere materiale e felicità. Essa è provocata da una visione illusoria che esagera gli aspetti positivi di un oggetto. 

La Lussuria è una incontrollata sensualità, irrefrenabile desiderio del piacere sessuale fine a sé stesso, concupiscenza, carnalità; La «Lussuria» è l’abbandono al piacere sessuale. Oggigiorno il termine «Lussuria» è in disuso in ragione del fatto che si ritengono normalmente accettabili i comportamenti sessuali che coinvolgono adulti consenzienti. Per i cattolici é uno dei “sette” vizi o peccati capitali, il “vizio impuro”, al di fuori della norma morale. Secondo le elaborazioni dottrinali della teologia morale del Cattolicesimo , la «Lussuria» è causa di svariati effetti negativi, alcuni dei quali aventi una preminenza in ambito religioso, ed altri intervenendo più specificatamente sul libero arbitrio in quanto provoca grave turbamento della ragione e della volontà, accecamento della mente, incostanza ed incoerenza, egoismo ed incapacità di controllare le proprie passioni. Nella dottrina cattolica classica, la «Lussuria» è frutto della concupiscenza della carne ed infrange sia il “Sesto Comandamento” che vieta di commettere atti impuri sia il “Nono” che riguarda il desiderare la donna d’altri. Fra questi atti impuri la Chiesa indica tanto le azioni concrete materialmente compiute in materia di sessualità non finalizzata alla procreazione e all’unione in seno al matrimonio, quanto il solo desiderio e l’immaginazione (“chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.”, Vangelo di Matteo 5,28). Tuttavia è interessante notare come nel Deuteronomio e nel libro dell’Esodo della Bibbia il “sesto comandamento” sia in realtà “Non commettere adulterio”; questo rivela un’intenzione originale di focalizzarsi più sulla fedeltà coniugale, che su un più generale controllo delle proprie passioni sessuali. 

L’Invidia è Tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio. Stato d'animo o sentimento spiacevole che nasce dal volere per sé un bene o una qualità altrui. L'«invidia» è spesso accompagnata da avversione e rancore verso chi possiede tale bene o qualità, che porta l'invidioso ad augurare il male all'altro, di modo che il dolore e la tristezza possano così oscurarne le qualità o diminuire la felicità che ne consegue. L'invidioso prova risentimento e astio per la felicità, la prosperità e il benessere altrui, sia che egli si consideri escluso ingiustamente da questi beni, sia che già possedendoli, ne pretenda l'esclusivo godimento. Per questo, l'«invidia» è la pretesa di esclusività delle doti o qualità, pretesa di esclusività che nasce dall'incapacità di rinunciare al proprio orgoglio, il quale è continuamente scelto sopra ogni cosa, portando all'«invidia» di tutti, che è vera e propria infelicità. Nel Cristianesimo, l'«invidia» è un vizio capitale perché, come la superbia, porta all'eccessivo amore di sé a scapito dell'amore fraterno e dell'amore per Dio, creando così una grande possibilità per l'azione del male. 

La Gola è meglio conosciuta come ingordigia, abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola, e non solo; Il vizio della «Gola», che in questi anni viene poco valutato, anche questo ha la sua gravità, perché lo scopo dell'esercizio di questo vizio è quello di rendere le persone incapaci a seguire e a raggiungere uno scopo. Il vizio della «Gola» introduce la persona a essere schiava; schiava di sé stessa, e in particolare non schiava dell'intelligenza, non schiava della volontà, non schiava delle emozioni, ma schiava delle sensazioni. Quindi il vizio della «Gola» ha lo scopo di introdurre la persona a diventare schiava delle sensazioni: sensazioni piacevoli da seguire sempre, sensazioni spiacevoli da sfuggire sempre. Allora il cibo è da sempre una sensazione piacevole. Il vizio della «Gola» non vuol dire che tu ti devi cibare di tutte le cose più orrende e più disgustose. Il vizio della «Gola» ti dice che tu devi appagare tutto quello che desideri. 

L’Ira è il desiderio di vendicare violentemente un torto subito; con il termine «Ira» (o impropriamente rabbia) si indica uno stato psicologico alterato, in genere suscitato da un elemento di provocazione, capace di rimuovere alcuni dei freni inibitori che normalmente stemperano le scelte del soggetto coinvolto.  L’iracondo è caratterizzato da una profonda avversione verso qualcosa o qualcuno. L’«Ira», specialmente intesa come sentimento di vendetta, è uno dei sette vizi capitali, da cui bisogna astenersi sempre e in ogni caso. Ciò malgrado, la Bibbia contiene numerosi riferimenti all’Ira di Dio. 

L’Accidia è torpore malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene, pigrizia, indolenza, infingardaggine, svogliatezza, abulia. L’«Accidia» è Indolenza, Riluttanza verso ogni tipo d’operosità mista a noia e indifferenza. Nell’antica Grecia il termine indicava la mancanza di dolore, l’indifferenza e quindi la tristezza e la malinconia. Il termine fu ripreso in età medievale, quale concetto teologico indicante il torpore malinconico che prendeva coloro che erano dediti a vita contemplativa. Il significato del termine è oggi vago, ma resta fortemente connotato, nelle culture cristiane, di implicazioni moralistiche e negative. Nel cattolicesimo l’«Accidia» è uno dei sette peccati capitali ed è costituito dall’indolenza nell’operare il bene. 





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